A volte (forse) ritornano

La prima volta che ho messo in moto un Maggiolino Volkswagen sono letteralmente entrato nella vecchia cucina economica di legno compensato che mio padre aveva provvisoriamente sistemato nella legnaia-garage della nostra casa di Pontebba, nell’alto Friuli. Scrupoloso (e onesto) veterinario di confine, lassù lui controllava quotidianamente il flusso di migliaia di mucche e di cavalli in arrivo via treno dall’est europeo. Quel giorno, che alla rampa dello scalo ferroviario c’era andato – e non ricordo il perchè – senza auto, il SUO Maggiolino era diventato MIO. In realtà volevo solo girare la chiave e sentire il rombo del suo piccolo ma affidabile propulsore raffreddato ad aria, ma ingannato da quella strana leva del cambio ricurva, non mi ero reso conto che invece del folle era inserita la prima. Un secondo più tardi i rostri del paraurti ‘americano’ avevano già violato le tenere antine della cucinotta. La malefatta venne scoperta solo mesi più tardi, grazie alla complicità di un telo di plastica a fiori con il quale, nonostante il panico iniziale, avevo avuto buona cura di coprire tutta la mobilia. Erano i primi anno sessanta, la tv era ancora in bianco-e-nero, d’inverno andavo a scuola con lo slittino e la patente di guida era ancora molto lontana. Per mettermi al volante della vecchia Volks di mio padre dovetti aspettare altri sei anni, ma che soddisfazione varcare i cancelli del liceo, in una Roma ancora possibile da gustare a bordo di un’automobile…

Di Maggiolini ne seguirono altri. Il primo fu un ‘gemello’ di quello paterno, di colore azzurro carta da zucchero, a cui avevo astutamente rivoltato i cerchioni e asportato i paraurti per dargli un aspetto più sportivo e grintoso. Esalò l’ultimo respiro sulla A1, all’altezza di Modena, con il motore fuso. Forse per vecchiaia, ma più probabilmente per una malaugurata perdita d’olio dovuta ad un intervento d’officina fatto con i piedi. Fu poi la volta del ‘nuovo’ Maggiolone: nero, comprato da un concessionario di Torino che, naturalmente, si era ben guardato dal dirmi che proprio nei giorni del mio acquisto stava uscendo una versione rinnovata, con il parabrezza bombato e i fanaloni posteriori maggiorati. Venne anche il momento del mio primo ‘cabriolet’, un Maggiolo di colore rosso con capote nera. Lo avevo comprato ‘a mezzo’ con una balleria di danza classica. La scelta era caduta su di lui in sostituzione di una più impegnativa e assetata Triumph TR6, causa repentino arrivo della ormai famigerata ‘austerity’ (e ci risiamo…). Tutte e due (auto e ballerina) fanno ormai parte del passato, ma è il cabrio ad essere rimasto meglio impresso nei miei ricordi.

Nel corso degli anni ho incontrato il Maggiolino altre volte, non solo perchè il destino ha voluto che andassi a lavorare proprio a casa sua, ma anche per i miei frequenti contatti con quelli che questa automobile continuano ancor oggi ad amarla e a venerarla come una divina creatura e che, per farlo, hanno fondato parecchi club a lei dedicata. Poi è arrivato il New Beetle: più moderno e sicuramente più in linea con le allora già severe normative automobilistiche, ma sempre molto simpatico e decisamente accattivante. Ricordo di essere stato il primo a guidarne uno in Italia, quando ebbi occasione di prenderlo in consegna a Milano da un giornalista americano, al quale era stato affidato dai colleghi di Wolfsburg per un test in anteprima. Tutto bene, se non fossi stato un’ora intera fermo a un distributore di benzina di viale Certosa (era un sabato sera) solo perchè non riuscivo più a rimetterlo in moto, ignorando che – essendo un modello destinato all’esportazione negli Usa (oggi sono fatti tutti così) – non mi era venuto spontaneo in quel momento spingere anche il pedale della frizione. Però era davvero splendido, nel suo colore rosso fiammante. E tutti:’Guarda, il nuovo Maggiolino!’. Anche durante il mio periodo fiorentino ho voluto averne uno, seppur solo per un semestre: cabrio, di colore bianco e con la capote nera. Molto elegante, ha fatto addirittura da ‘apripista’ ad un bellissimo raduno di Cecina.

Il Maggiolino che mi è rimasto più nel cuore, comunque, è quello strano ma simpatico prototipo che del vecchio Käfer condivide solo la carrozzeria (in vetroresina) essendo, per il resto, una vera e propria auto da corsa, con tanto di rollbar e alettone posteriore. Non posso assolutamente dimenticare quei bellissimi fine settimana passati in pista con la mia famiglia e con il gruppo della Fun Cup: prima tutti insieme sotto il tendone della hospitality e poi, chi in pista (il mio ragazzo) e chi al muretto (io) a soffrire per una, due e a volte anche quattro ore di gara. Dentro l’abitacolo per il gran caldo, al muretto sempre per il caldo ma anche per la frenesia di piazzare a ogni giro il cartello delle segnalazioni. Un’esperienza davvero indimenticabile.

E intanto è arrivato il nuovo, di Maggiolino. Che tanto ‘ino’ non è, viste le sue dimensioni. Nel frattempo, considerando anche che per la Volkswagen non lavoro più da tempo – ma ce l’ho sempre nel cuore, se non altro perchè ho passato il testimone a mio figlio Simone (il pistaiolo) – delle mie due grandi passioni, Maggiolino e Vespa, me ne è rimasta solo una (la seconda). Tornerò, prima o poi, al mio vecchio, grande amore? Sinceramente non lo so ma, come si dice sempre in questi casi, mai dire mai.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *