Auto e Arte

Apparsa, come si diceva, alla fine dell’ “800 tra le tante novità etichettate oggi sotto il nome di seconda rivoluzione industriale, l’automobile concorre, a partire dai primi vent’anni del secolo seguente, a modificare radicalmente i trasporti. Ma ben prima di occupare fisicamente le strade, ferma o in movimento (ai nostri giorni soprattutto ferma), l’automobile occupò la mente e la fantasia di tutti, sia degli happy few ricchi e/o aristocratici che a lungo furono i pionieristici possessori dei nuovi “mostri”, sia di tutti gli altri che potevano solo guardare quegli affascinanti aggeggi. In effetti, erede com’era delle carrozze, l’automobile fu subito un’elevazione al quadrato dei valori di status che già esse avevano incarnato. Ne mantenne molti nomi (coupé, cabriolet…) e aggiunse la velocità con il suo corollario della competizione sportiva, svago degli happy few da tempi immemorabili, ora praticabile tra inebrianti puzze di oli e benzina, rombi e fracassi di ogni genere ma soprattutto in quel paesaggio che correva via come mai prima… E dove stavano impalati tutti gli altri, a sognare: avrebbero sognato a lungo, in Italia fino agli anni ’50 del novecento, accontentandosi prima della bicicletta e poi al massimo della moto, ma anche solo di guardare le splendide auto che cominciavano a scivolare nei film, nei manifesti pubblicitari, nei quadri, nei libri, a seconda dei gusti e delle possibilità culturali di ciascuno. Perchè l’automobile si sposava perfettamente con altre invenzioni come la fotografia, il cinema, la radio, il telegrafo, l’elettrificazione che illuminava le strade: ed anzi divenne subito lo spazio di sintesi di questa novità, come colse Marinetti nel suo manifesto di fondazione del Futurismo, apparso nel febbraio del 1909 sul Figaro e seguito l’anno dopo dal manifesto dei pittori futuristi (Boccioni, Carrà, Balla…). Esaltazione della tecnica, fiducia illimitata nel progresso, attacco alle ideologie “passatiste”: il futurismo mischiò molte cose in una salsa definita “niccianesimo provinciale”, sfociata nel nazionalismo, nella “guerra sola igiene del mondo” e, dulcis in fundo, nel fascismo.
D’Annunzio, nel 1910, percorrendo una strada parallela, in “Forse che sì forse che no”, aveva fatto di automobile e aereo, l’altro grande, nuovo protagonista, i competitori in una sfida alla morte dai toni, tanto per cambiare, sopra le righe. Ma sul versante delle forme e del linguaggio il Futurismo (e, in parte, D’Annunzio stesso) contribuirono a rinnovare l’arte figurativa, la poesia e la prosa italiane. In particolare la pittura del primo futurismo – che influenza in modo decisivo la grafica pubblicitaria – si impegna a rendere velocità, potenza e il cambiamento della percezione del tempo e delle distanze con ricerche formali che ne rappresentano con grande originalità gli effetti sulla vita urbana: basti pensare alle folle di Boccioni, alle auto che si incrociano ridotte a linee di forza e dinamicità, a “L’automobile da corsa” di Giacomo Balla. Il processo di concettualizzazione, per così dire, dell’automobile nell’arte andrà di pari passo, per tutto il novecento, con la sua riduzione a merce tra le merci, ma anche con l’inevitabile evoluzione a componente del paesaggio: i quadri di Edward Hopper , il cromatismo funebre delle sue pompe di benzina nel silenzio delle strade di provincia, ci paiono la sintesi di questo processo. In essi è rappresentato quello che negli Stati Uniti diviene molto presto un topos letterario, il viaggio “on the road”, vissuto prima che raccontato o vissuto per poterlo raccontare. Scott Fitzgerald parte con la sua Zelda a bordo del loro “rottame vagante” (una coupè Marmon di seconda mano) Robert Bly, Maggie Anderson, Martha McFerren, Gregory Corso e tanti altri, su auto dai nomi mitici sono tutti alla guida di una metafora dentro la quale si nasce, si fa all’amore, si muore: “ può darsi che ci sia Dio/in quella Buick”, e tutti quanti attraversano Nebraska, Iowa, Texas, Michigan, Louisiana, Georgia, con il sottofondo dei dee-jay che cambiano stato dopo stato.
Gli scrittori e i poeti europei paiono invece più sensibili alla doppia natura dell’automobile, in grado di avvicinare e insieme allontanare il mondo naturale, grazie alla velocità: così la vivono per esempio Mario Luzi e Vittorio Sereni. La ragione della differenza starà nei versi di Martha McFerren” C’è chi dice che i texani/pensino più alle ruote che al sesso/ ma bisogna tenere conto delle distanze….”?! Intanto l’arte è diventata strabordante protagonista nel cinema, facendosi largo prima come comparsa, parte della scenografia, necessaria illustrazione della realtà, ma prestissimo come comprimaria quando diviene l’auto del protagonista: basti ricordare Humprey Bogart nei “noir” degli anni ’30 e ’40, e Jean Gabin nei film di Duvivier, Renoir, Carrè, entrambi al volante di auto che si fissano nel ricordo come gli attori in carne e ossa. E nella seconda metà del ‘900 si assisterà ad un crescendo: le auto di James Bond, la Blues Mobile dei Blues Brothers, l’Ecto 1 Ghostbuster, la De Lorean di “Ritorno al futuro”, la Batmobile, per citare alla rinfusa e (molto) parzialmente da un elenco foltissimo – come non pensare a “Il sorpasso” per esempio, ed alle decine di pellicole in cui l’auto è elemento centrale della psicologia e del costume illustrati oltre che della vicenda raccontata? Si va nel mito (la Mustang di “Un uomo e una donna”, la 2CV di “Alla rivoluzione sulla 2CV”…) e infine all’auto protagonista assoluta: valgano, per tutte, il classico Maggiolino e i cartoon di “Cars”, nell’epoca, tra l’altro, del “product placement” che regola con precise clausole la presenza dell’auto nei films. Merce tra le merci, come dicevano, eppure sempre carica di un’emotività che ha a che fare con il sogno di velocità ed ubiquità che è alle sue origini ed è naturalmente presente anche nel mondo della canzone. Negli Stati Uniti, Chevrolet, Pontiac, Cadillac, Mercury, popolano la musica pop e rock, su un registro ludico, mentre quello europeo è, ancora una volta, differente e più attento alla dimensione sociale: viene in mente “Il motore del 2000” di Lucio Dalla, ma anche il mito novecentesco del suo “Nuvolari”.
L’automobile della fine del “900 è stata poi fracassata, compressa, scomposta e ricostruita con altri materiali poveri dagli artisti di uno scorcio d’epoca che vedeva messe in dubbio molte delle certezze del secolo trascorso. Non pare che l’attuale ne offra molte di più, neanche all’automobile, che tuttavia resiste – elettrica? Ibrida? Bertolt Brecht, che nel ’27 aveva vinto un’automobile Steyr con una poesia presentata a un concorso, nel ’40 si trovò in esilio dalla Germania nazista in California, dove tentava, inutilmente, di entrare nel mondo del cinema. Di quel momento resta una poesia, “Il cambio della ruota”, che descrive curiosamente la sua e la nostra condizione:
Siedo sul ciglio delle strada.
L’autista cambia la ruota.
Non mi piace il posto da cui vengo.
Non mi piace il posto in cui vado.
Perchè allora guardo con impazienza
il cambio della ruota?
La ruota fu cambiata ed il viaggio continuò, come poi avrebbe chiosato Franco Fortini, ma questa è un’altra storia (o forse no).

1 commento
  1. Mister X
    Mister X dice:

    eccezionali i contributi di Walter Brugnotti. Scritti con maestria sono nutrimento per la mente. complimenti !

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