Automobili e (principi) indiani

Il primo ministro indiano, al recente COP 21 ha rivendicato la possibilità’ per il proprio paese di “continuare a svilupparsi”, senza quindi mettere a rischio crescita e produttività con misure di protezione ambientale.
Non è una novità’: identica, in passato, la posizione della Cina e prima ancora degli Stati Uniti, che per primi dichiararono non negoziabile il loro way of life.
L’India è d’altronde uno dei paesi del cosiddetto Bric, acronimo di Brasile, Russia, India e Cina coniato da Goldmann Sachs nel 2001 per indicare in breve i quattro paesi individuati come probabili protagonisti dello sviluppo economico, almeno fino alla metà dell’attuale secolo.
Indici ovvi sono e saranno, tra gli altri, l’industria e il mercato dell’automobile, ovunque saldamente al centro delle problematiche ambientali, nella realtà e ancor più nella percezione: problematiche comunque ben lontane dall’essere affrontate, nel Bric, con l’impegno profuso nei paesi occidentali da almeno un trentennio.
La storia dell’auto in India, d’altronde, mentre conferma il ripetersi identico di alcuni meccanismi di mercato, spiega l’accelerazione recente e contraddittoria cui sono stati sottoposti. Ce lo conferma anche la lettura di un libro ricco di immagini e notizie come “Tesori a quattro ruote” (Edizioni White Star) che racconta gli esordi del trasporto individuale in India nei primi anni del secolo scorso. E’ la storia dei gusti e delle scelte, in materia automobilistica, di un’ élite composta da Maharaja, Raja, Rama, Jam, Nababbi e Mir, cioè i principi che governavano, all’atto dell’indipendenza nel 1947, 565 stati, i due quinti del territorio dell’ex-colonia dell’impero britannico in oriente.
Essi stessi, i loro padri e i loro nonni, erano stati nei cinquant’anni precedenti i protagonisti, insieme ai residenti britannici, della prima motorizzazione del paese, quando la “concorrenza” tra i principi – per motivi di immagine e prestigio – passò da carri, carrozze, palanchini ed elefanti, alle carrozze esclusive dei treni ed infine alle auto.
Accanto alle sfarzose bardature degli elefanti, ai cocchi placcati in oro, argento e pietre preziose, alle carrozze commissionate in Inghilterra ad imitazione di quelle della nobiltà britannica, apparvero, all’atto dell’introduzione delle ferrovie attorno al 1850, vagoni lussuosi e convogli speciali.
Il vagone del Maharaja di Mysore era in legno di tek con ringhiere d’argento, finiture in oro, pavimenti ricoperti di tappeti, un letto regale a quattro colonne e le sedie foderate in broccato. Di quei treni favolosi è rimasto oggi il solo “Palace on Wheels” gestito dal governo indiano.
Con la comparsa dell’automobile, i principi indiani avrebbero relegato le carrozze alle cerimonie di stato ed alla caccia. Per la verità, però, la prima auto arrivò in India nel 1897-98 acquistata da un residente britannico; nel 1901 fu un industriale il primo indiano a motorizzarsi.
Le auto che cominciarono ad arrivare avevano nomi ormai noti solo agli storici dell’automobile più eruditi: Locomobile, Stanleys, Gardner-Sepollets, Turner-Miesses… ma anche Oldsmobile e De Dion. Già nel 1902 si assemblano le prime auto ad opera della Simpson Company di Madras che importerà via via telai Darracq Daimler, Rolls Royce e Napier. E nel 1911 si contano quattro De Dion ed una Mercedes. Tre anni prima era arrivata la prima Rolls Royce Silver Ghost, presentata al Motor Show di Bombay, vincitrice di varie gare e infine acquistata dal Maharaja di Gwalier, che la fece dipingere con una vernice fatta di perle polverizzate…
Nonostante le strade a lungo impossibili, principi e governanti locali britannici diedero un forte impulso alla mobilità, fondando automobil clubs che organizzavano le prime gare di regolarità.
Gli equipaggiamenti di queste auto principesche, oltre a ruote particolari in grado di reggere (bene o male) le sollecitazioni ambientali, presentavano personalizzazioni notevoli. Il cuoio degli interni e dei sedili poneva problemi gravi: se di maiale ai principi mussulmani, se di vacca a quelli indù… Si acquistavano perciò broccati indiani o ricchi tessuti francesi, poi inviati ai carrozzieri europei perchè sostituissero i rivestimenti: e spesso il pavimento era ricoperto da tappeti più costosi dell’auto stessa….
Ma torniamo alla prima Rolls: la sua apparizione scatenò un’altra competizione. Si calcola che tra 1908 e 1947 le Rolls-Royce importate in India furono più di ottocento, insieme alle auto più sportive e corsaiole, che i rampolli della nobiltà indiana, studenti in Inghilterra e in Europa, vedevano alla prova sulle piste: uno di essi avrebbe acquistato le auto usate da Tazio Nuvolari. Alla vigilia della prima guerra mondiale a Bombay e Calcutta risultavano immatricolate tremila automobili, mille a Madras e trecento a Karachi.
Dopo la prima guerra mondiale, tra il 1919 ed il 1939, la competizione si allarga e le Rolls sono affiancate da Alfa Romeo, Lancia, Fiat, Bugatti, Cadillac, Duesemberg, Hispano-Suiza, Mercedes, Napier, Arrow: e General Motor avvia nel 1928 la prima fabbrica di automobili mentre si aprono concessionari di tutte le marche. Tra gli acquirenti si registra un noto industriale, tale Tata….
Oggi un buon numero di discendenti di quegli indiani che si ammassavano lungo le strade per veder passare le vetture dei principi, finalmente, in auto, ci può andare, se è vero che la produzione automobilistica è passata, tra 2004 e 2014, da 989.560 unità a 3.360.000, mentre il mercato, salito nello stesso periodo da 902.000 a due milioni e mezzo, ha in vista per il 2020 il terzo posto nella classifica mondiale.
Stiamo parlando di una popolazione di un miliardo e 276 milioni di persone, nella quale si contano circa duemila etnie, si parlano diciotto idiomi regionali e millesettecento dialetti: una popolazione giovane (tre indiani su dieci hanno meno di quindici anni) che abita un paese sospeso tra avanguardia postindustriale e industria novecentesca, dove mentre si registra l’analfabetismo di quattro indiani su dieci è all’opera tra mille difficoltà’ la più grande democrazia del pianeta.
L’élite che comprava automobili nel ‘900 ha passato la mano a “ottanta milioni di ricchi e 120 milioni di benestanti”, ancora una gigantesca élite, a fronte del miliardo e passa restante (del quale “ 500 milioni vivono con meno di due euro al giorno”), ma un’ élite più che sufficiente a motorizzare le aree più ricche e popolate.
Infatti il cielo della capitale New Delhi “è il più inquinato del mondo”, per il traffico naturale di una “città” di venticinque milioni di abitanti, per giunta attraversata in permanenza da colonne di migliaia di automezzi pesanti.
Un intreccio di mercato, consumismo e povertà, insieme a problemi demografici e ambientali, in un miscuglio di passato e postmodernità, ai quali le auto dei principi indiani guardano, dai musei locali e in giro per il mondo dove sono rifugiate, probabilmente con una punta di leggero fastidio…

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