Dakar, l’inferno nel Sahara

L’Ospite di Autologia: Beppe Donazzan, giornalista.

Dakar, il marchio è rimasto lo stesso. Il turbante stilizzato simbolo dell’avventura. Dal 2009 si corre in Sud America, “quasi alla fine del mondo”, come dice Papa Francesco per identificare il Paese dove è nato. Altro continente, altre piste, altri paesaggi, altre caratteristiche, altre incognite, altre difficoltà. Macchine diverse, moderne tecnologie. Nonostante lo scorrere del tempo, lo spirito però è rimasto. Ne è la prova Stefan Peterhansel, 50 anni suonati, che qualche settimana fa ha portato alla vittoria la Peugeot 2008 Dkr. Dodici vittorie per lui, sei in moto, altrettante in auto. Ha vinto sulle sabbie del Sahara e sulle piste in altura di Argentina e Bolivia. Nessuno come lui.  
Ma l’Africa, dove la maratona motorizzata più difficile e dura è nata, è cresciuta fino a diventare mito, poi fermata soltanto dal terrorismo islamico, uno dei grandi mali dei nostri giorni, è lontana rispetto a quella attuale. Lontanissima. Sembra in un altro pianeta. Ho cercato di raccontare l’epopea africana nel libro “Dakar, l’inferno nel Sahara”, prefazione di Elisabetta Caracciolo, con foto di Gigi Soldano, Giorgio Nada Editore. 
Trent’anni di storie lunghe come un secolo, come un secondo. Laggiù è accaduto di tutto. Croci e dolore, imprese e felicità, fatiche immani e sudore, con l’uomo ad essere il solo, grande protagonista. Ognuno di coloro che vi ha partecipato, dal primo all’ultimo, ha vissuto momenti irripetibili che hanno fatto crescere e vivere. Ognuno di loro ha scritto un libro personale, fatto di imprese piccole o grandi, soprattutto di emozioni intense. Eroi, sempre e comunque.
Nella testa di Thierry Sabine, colui che mise in piedi la corsa verso l’ignoto, c’era l’idea di una competizione limite. Al massimo della velocità di ognuno, l’imperativo.
Costringendo a tirare fuori tutto da sé stessi, anche di più. Nella società del benessere, dove tutto è facile, catalogato, ovvio, questa idea funzionò. Perché anacronistica, fuori dal tempo e dagli schemi. Un ritorno al passato. 
La Dakar era diventata sogno in un mondo che non sognava più. Si partiva da un punto conosciuto e si andava non si sapeva dove, verso una meta che non si sapeva se si sarebbe raggiunta. Come l’Everest per un alpinista o un record del mondo per un atleta. La differenza è che nella corsa anche un non atleta avrebbe potuto raggiungere un piccolo-grande record personale. Dakar, come fosse una medaglia d’oro. Un mondo di storie, emozioni, situazioni. Un’esperienza sempre diversa che restava dentro. Per la durezza dei momenti da superare, per l’incanto della natura, ma soprattutto per l’esperienza umana che colpiva e lasciava il segno.
Dakar. Il miraggio l’hanno cancellato gli uomini che vi hanno partecipato, che vi hanno lasciato la vita, che si sono immolati per questo piccolo, grande sogno.
Come in tante altre espressioni dell’esistenza, anche questo l’essenza della vita.

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“Dakar, l’inferno nel Sahara”, di Beppe Donazzan, prefazione di Elisabetta Caracciolo, fotografie di Gigi Soldano, 400 pagine, Giorgio Nada Editore (24 euro), in tutte le librerie.

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