Il ferro in aiuto alla gomma

In una intervista di qualche giorno fa su “la Repubblica”, Renato Mazzoncini, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, ha esposto le prospettive verso cui cerca di indirizzare il Gruppo che dirige. Mi sembra interessante accennarne su “Autologia”, dal momento che più di una volta viene fatto riferimento alla mobilità privata: non in termini di polemico antagonismo, ma di una sana concorrenza tra diversi sistemi di trasporto.
Il ragionamento di Mazzoncini può essere così sintetizzato: oggi Ferrovie dello Stato rappresenta circa il 90% del mercato ferroviario e potrebbe “vivacchiare”, continuando ad occuparsi di treni come sinora è stato fatto. Ma se si esce dal recinto dei binari, le ferrovie rappresentano solo un piccolo 5% della mobilità del Paese. Troppo poco: ci sono possibilità elevate di ampliare il mercato del ferro, andando ad assorbire quote oggi di fatto “costrette” ad impiegare la gomma e rendendo le Ferrovie un elemento modernizzatore del Paese. Come ?
Con una riorganizzazione, o meglio, con una nuova impostazione del sistema ferroviario regionale, con una nuova visione della stazione, con l’integrazione con Anas per impostare meglio le nuove grandi infrastrutture e per dotare di nuove tecnologie quelle esistenti, con l’ingresso in società di tpl urbano e di mobilità innovativa, con partecipazioni a gare internazionali per la realizzazione o per la gestione di tratte ferroviarie. Insomma con una nuova filosofia della mobilità.
Il programma è vasto ed impegnativo, rispecchia un nuovo modo di intendere la mobilità, può diventare una concezione al centro della quale sta il cittadino che si deve spostare e che può scegliere il mezzo più adeguato per le sue necessità, mettendo finalmente da parte lo sciocco contrasto tra l’ automobilista ed il pendolare del treno. E’ un programma di respiro, che necessita di tempi almeno medi, di consistenti risorse economiche in parte già individuate, di contrattazioni con le diverse componenti che coesistono all’interno del Gruppo, di una adesione convinta da parte dei decisori politici.
Determinanti saranno anche i risultati economici e chissà che, fra un po’, non ci venga da sorridere ricordando la battuta di Andreotti sui due tipi di matti esistenti in Italia: chi si crede Napoleone e chi spera di raddrizzare i bilanci delle Ferrovie.
In ogni caso, l’automobilista o il trasportatore di merci non può che rallegrarsi di una simile prospettiva perché ad ogni aumento di quota di mobilità assorbita dal sistema ferroviario corrisponde una proporzionale fluidificazione della rete stradale.
Lo squilibrio tra il trasporto privato (i più di trentasette milioni di autoveicoli usati da una quarantina di milioni di italiani) e tutti gli altri sistemi pubblici o privati su gomma e su ferro ha caratterizzato in modo negativo la mobilità italiana da quando negli Anni Sessanta è iniziata la motorizzazione di massa. Le criticità sono arcinote: costi elevati per le famiglie e per la collettività, inefficienza dei sistemi, quotidiana congestione su reti stradali urbane ed extraurbane non adeguate a sostenere eccessivi volumi di traffico.
Ho sempre sostenuto che i 400.000 automobilisti della macroarea lombarda che ogni mattina si incolonnano nelle strade ed autostrade per Milano farebbero volentieri a meno della propria vettura se venisse offerto loro un trasporto alternativo, su ferro o su gomma collettiva. Ne guadagnerebbe il portafoglio delle famiglie, la salute del fegato del conducente, con ricadute positive sulla qualità dell’aria urbana oltre che sui sistemi sanitari regionali per le minori spese legate alla diminuzione degli incidenti.
Anche la nuova visione della stazione risponde ad una nuova esigenza, magari non ancora definita con chiarezza dalle centinaia di migliaia di suoi utenti: la stazione, da luogo dove si aspetta il treno, a snodo di diversi sistemi di mobilità, a luogo di nuovi servizi e funzioni, favoriti oggi da internet, app e “diavolerie” sempre più raffinate. In questa direzione primi passi sono stati compiuti con Grandi Stazioni, ma non è con l’apertura di una boutique che si attua il cambiamento vero, ma con “negozi di mobilità” che vendono tessere a scalare per taxi, per tram, per sistemi di noleggio e di sharing, ecc.; con luoghi attrezzati in cui portare a casa la frutta e verdura a km zero, prenotata dal treno on line poco prima di arrivare; con spazi in cui la cura della persona, dalla sauna al dentista, viene svolta con professionalità ed in un ambiente sicuro e pulito, un ambiente insomma attraente, capace di catturare anche il cittadino che non deve prendere il treno.
In questa prospettiva, tentativi in altri Paesi sono stati già attuati con risultati abbastanza soddisfacenti, anche se erano e sono Paesi con una storia di mobilità (e di cultura) diversa dalla nostra. Ma questa prospettiva credo proprio che vada perseguita, anche perché un nostro “non fare” comporterebbe a breve l’ingresso nel nostro Paese di altri operatori stranieri, magari con la stessa impostazione di Mazzoncini.

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