“Geppa”, la Ford Cortina diventata “vipera”

L’Ospite di Autologia: Renato Cortimiglia.

Flashback sui turbolenti Anni Sessanta. Un esemplare “trasformato” prima nell’officina sottocasa poi dagli elaboratori di De Tomaso, rubato in una notte d’agosto del 1964 e mai ritrovato.

C’era una volta la Ford Cortina. C’è stata una volta la mia Ford Cortina, prima serie. La chiamavo “Geppa”. Non so dirvi perché. E’ stata la mia seconda macchina, dopo la Fiat 600 color carta da zucchero che acquistai quando facevo il rappresentante di elettrodomestici e di cucine componibili mentre già collaboravo con la Gazzetta del Sud curando i campionati di pallacanestro e alla domenica lavoravo in redazione come unità di supporto allo sport per l’edizione del lunedì. La Ford Cortina la comprai nel 1962. La Gazzetta decise di assumermi come praticante ed io per festeggiare la conquista comprai la Cortina. La “Geppa” era tutto per me. Anche la camera da letto mobile dentro la quale assecondavo le disponibili fanciulle dell’epoca.

Sotto casa c’era l’officina di un mio ex compagno di scuola il quale aveva lasciato gli studi, dopo lo scientifico, per seguire la vocazione di meccanico, quella del padre. Più che riparare macchine preferiva “trasformarle”. Dalle sue mani passarono non so quante Fiat 500 e 600, Alfa Romeo Giulietta, NSU Prinz, Bmw di tutti coloro i quali, sedicenti corridori di cronoscalate, ricorrevano a lui per trasformare placide auto in belve dal ruggito facile e scatenare la loro libidine, semel in anno, nella “Messina-Colle San Rizzo” la corsa meno costosa perché fatta in casa, appuntamento irrinunciabile in quegli anni d’oro, poi scomparsa come gare analoghe perché ritenute pericolose.

Ciccio, il meccanico, che aveva già “elaborato” la Fiat 600, puntò gli occhi che trasudavano ingordigia trasformista sulla Cortina e tanto fece finché mi convinse a lasciargliela perché ci mettesse le mani. Quando dieci giorni dopo uscì dall’atelier di Ciccio “Geppa” era più aggressiva del lustrascarpe che operava a Piazza Cairoli, cuore storico di Messina, il quale vendeva sigarette estere di contrabbando e s’incazzava quando gli acquirenti cercavano di discutere sul prezzo. Inutilmente perché la contrattazione si concludeva con l’inevitabile “prendere o lasciare”. “Geppa” da quel momento ebbe un’apparenza ingannevole: sembrava la placida macchina di prima ma… “Dolce, amorosa; Mi lascio reggere, Mi fo guidar. Ma se mi toccano. Dov’è il mio debole. Sarò una vipera…”. La “vipera” a me non serviva per soddisfare brame corsaiole ma per “acchiappare” con maggiore facilità le disponibili bambole. Lo confesso.

Un giorno al Ritrovo Irrera di Piazza Cairoli, luogo ambito della movida messinese anni Sessanta, il concessionario Ford che m’aveva venduto la Cortina mi chiese se ero interessato a trasformare con firma d’autore la “Geppa”. <<Così è già tanto – mi disse – ma si può fare molto di più>>. Si offrì di interessarsi di contattare l’elaboratore. <<In pratica – disse per catturarmi definitivamente – quando le torna indietro sarà una De Tomaso a tutti gli effetti>>.

Detto, fatto. La “Geppa” tornò a Messina due mesi dopo previo pagamento di una fattura da brividi. Intanto, non potendo restare senza macchina, avevo comprato una Citroën DS 19 e la mia riserva finanziaria era al livello del mare. DS 19 usata. Acquistata nuova e tenuta pochi mesi da un avvocato che conoscevo. Per la “Geppa” mi venne anche recapitato un decalogo di raccomandazioni. A cominciare dal fatto che dovevo usare solo olio ricinato Castrol. Carreggiata posteriore allargata perché erano stati montati dei cerchioni più larghi rispetto a quelli anteriori; tubo di scarico mostruoso che usciva prepotente a metà carrozzeria lato guida; accanto al nuovo volante sportivo con logo De Tomaso, a tre razze, un “quadro” strumenti per avere il controllo di temperatura dell’olio, liquido di raffreddamento del motore, carica della batteria, livello liquido nel radiatore; la leva del cambio ridotta per assecondare gli spazi più corti tra una marcia e l’altra; sotto il cofano un minaccioso doppio carburatore, doppio corpo. Cosa ne avessero fatto del quattro cilindri ad aste e bilancieri del motore Ford, che già Ciccio aveva riveduto e corretto, non mi venne mai detto. La seduzione definitiva all’apice del cofano: una targhetta metallica rettangolare con la sigla De Tomaso stilizzata su un campo bianco tra due campi azzurri. La “Geppa” marchiata come un giovane vitello in un ranch del Texas. I costi d’esercizio aumentarono esageratamente. Fronteggiarli cominciò a diventare un problema e fu così che misi da parte la “Geppa”, diventata la “macchina della domenica”.

In un’afosa notte d’estate dell’agosto 1964 la rubarono. Sabato 22 agosto. L’avevo lasciata parcheggiata fuori dal night dove mi ero recato, nella zona del Lago di Ganzirri. “Dove sta Zazá?!… Pare, pare, Zazá, che t’ho perduta, ahimé!… Chi ha truvato a Zazá ca mma purtasse a me…” Nessuno la trovò. Scomparsa nel nulla. E come una sorta di “maledizione”, a distanza di decenni da quel turbolento periodo, ho perso (non so come, quando e dove) quella parte del mio archivio fotografico in cui c’era anche la “Geppa”. Posso solo vederla nel flashback dei miei ricordi giovanili, guardando il rampante giornalista d’inizio carriera immortalato con la Fiat 600 e la Citroën DS 19.

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