I giornalisti dell’auto dinosauri in estinzione ?

Vecchi?! Qualcuno è convinto che il giornalismo italiano dell’auto sia ancora in mano ai vecchi?! O è cieco. O non frequenta più gli eventi del settore e, in particolare, le presentazioni dei nuovi modelli di prodotto. Altrimenti si sarebbe già accorto da tempo che l’epoca dei dinosauri è passata da un pezzo.

Scherzi a parte, ho letto con interesse l’articolo di Max Medici su Prima Comunicazione ( https://autologia.net/?p=4443 ) e devo dire che da giornalista che ama ancora la carta stampata ho apprezzato il barlume di speranza che arriva dall’indagine compiuta dai tedeschi sugli effetti (in realtà tutti da dimostrare) dei nostri giudizi e che ci sia ancora qualcuno (purtroppo solo in Germania…) che ci legge e che apprezza le nostre valutazioni sulle novità del settore auto. Ma non condivido la frecciatina contenuta nelle parentesi del finale dedicato alla combriccola (di cui mi onoro di far parte) di questo blog promosso da Alfio Manganaro, anche se le ritengo utili a uno spunto per questa riflessione.

Il sottoscritto, ha 47 anni di vita, 33 dei quali trascorsi dentro le redazioni e 26 dedicati alla passione dei motori, e per questo è ritenuto anche dalle normative che fissano le regole del lavoro (e della pensione) del nostro Paese troppo giovane per essere vecchio, ma anche troppo vecchio per essere giovane. Per cui si sente di ricadere sia nella categoria di quei colleghi di questo settore che stanno ancora nel mezzo: quelli che hanno visto com’era; che sanno com’è; e che dovranno comunque vivere (o sopravvivere) in quel che sarà.

Per questo non mi sento di condividere più chi ancora sostiene – spesso solo per denigrarlo – che il giornalismo italiano dell’auto (quello del prodotto, in particolare) sia ancora in mano alle cariatidi del giornalismo.

Sicuramente lo è stato per molti – anzi, troppi – anni. Ma negli ultimi tempi le cose sono cambiate radicalmente.

L’età media dei partecipanti agli eventi si è notevolmente abbassata. Merito del dilagare delle nuove tecnologie che hanno trasformato con gli effetti di un ciclone – come osserva anche il nostro Max Medici – tutti i settori del giornalismo. E merito (ma vorrei dire demerito) degli uffici stampa che – gestiti sempre più da uomini e donne che nascono nel marketing – sono ormai pienamente convinti che invitare i decani non porti più benefici.

Il problema è che il notevole abbassamento dell’età media di chi si occupa di questo settore (sia dalla nostra parte che da quella di chi è la nostra controparte – vedi appunto le direzioni relazioni esterne) non è andato di pari passo all’incremento – tanto auspicato da chi si lamentava del dominio delle vecchie generazioni – della qualità professionale.

Di tutto questo, la responsabilità va divisa in due parti: una è della nostra categoria che nonostante gli sforzi encomiabili di qualche collega non ritrova ancora una rappresentanza unitaria e, diciamo, di un certo peso.

L’altra è degli uffici stampa che non sanno più nemmeno chi realmente siamo e cosa effettivamente ci serve per il nostro lavoro. Prima, magari avevano le mail list farcite di colleghi che ormai scrivevano solo sui muri, ma ora le hanno riempite di persone e personaggi che piovono dal cielo.

Oggi ci sono addetti stampa che non sanno nemmeno più quali sono i quotidiani e i periodici italiani, quelli veri, quelli leader nei loro territori o nei loro settori di competenza. Quelli che fanno sforzi immani per mantenere in piedi una vera struttura redazionale che, distinguono la parte giornalistica da quella pubblicitaria affidando la gestione di quest’ultima a società esterne alla redazione, che dedicano ancora inserti, magazine, supplementi ai motori. Che hanno una redazione di professionisti e collaboratori specializzati. Quelli che oltre alla carta stampata fanno informazione (vera informazione) anche sul web. E non sanno neppure quelli che rappresentano le vere testate del settore che circolano solo on line. E ci sono direttori delle relazioni esterne che confondono i blogger con i giornalisti senza nemmeno domandarsi perché ci sia chi continua a sottolineare che esiste una netta differenza.

Così i giornalisti (quelli veri, che a prescindere dalle età sono, in realtà, sempre più pochi…) si ritrovano in mezzo a orde di nuove generazioni che nulla hanno a che fare con la loro professione.

Se prima avevamo colleghi velocissimi ad alzare i calici e la forchetta, ma troppo stanchi per sollevare un cofano e guardare come fosse il motore dell’auto che andavano a provare, oggi sempre più spesso ci troviamo di fronte a pseudo colleghi che concretizzano il loro lavoro – ma sarebbe meglio dire la loro semplice presenza – con un tweet o un post su Facebook del tipo “guardate quanto so fico al volante di quest’altrettanto auto figa…” o un selfie scattato davanti al dolce servito a tavola dopo la presentazione.

Insomma, chi dice che in giro ci sono ancora troppi dinosauri non si è accorto che la preistoria è finita da un pezzo. Ed è passata troppo in fretta, senza veder passare un testimone che salvi quello che c’era ancora da salvare in una professione che, nonostante le pecche e le voracità di qualcuno, non era proprio tutta da buttare.

Di questo passo, vedrete che presto ci sarà chi rimpiangerà i vecchi di ieri. Ma non saranno di certo quei giovani di oggi con i quali molto poco abbiamo da spartire: i blogger, per esempio; i tweetterman (ne ho avuto uno vicino con me, recentemente, e vi garantisco che erano migliori i discorsi e le argomentazioni che venivano portate a tavola dalle cariatidi); i facebookleader; e le innamorate dei sogni d’oro che viaggiano sui social network. Il loro – per quanto mi riguarda – non può essere considerato giornalismo. E sono convinto che il popolo dei lettori (che vivrà ancora a lungo, anche se cambierà la natura dei media) sa ancora distinguere.

Per fortuna, comunque, in giro qualche positiva eccezione non manca. Ma le Case hanno più premure per chi ha orde di follower che per i giovani che fanno un lavoro serio. Magari ancora inseguendo il sogno di un posto in redazione, ma con umiltà e con la voglia di affrontare il giornalismo motori con una vera professione.

Sarà che sto invecchiando anch’io. O forse sono già troppo vecchio. Ma vengo da una scuola che mi ha insegnato che giornalista o si nasce o si diventa. E una lunga gavetta mi ha dimostrato che, di sicuro, non ci si improvvisa. E, fino a qualche anno fa, vi assicuro che era ancora così anche per il giornalista dell’auto.

P.S.: scusate la lunghezza, se siete sopravvissuti alla lettura.

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