Indianapolis è partita (seconda parte)

Indianapolis. La grande corsa è partita. Sul filo dei quasi 400 chilometri orari le 33 auto si sono avventate sul catino: due miglia e mezzo ad ogni giro, due rettilinei di poco meno di un miglio e quattro curve, raccordate a due a due (Leggi l’articolo: indianapolis parte prima).
Le macchine hanno sospensioni asimmetriche, in modo tale che nelle curve sopraelevate praticamente girano quasi da sole. Però sui rettilinei bisogna controsterzare leggermente per vincere la tendenza a girare verso sinistra. Una norma fondamentale è: mai sterzare a destra, perché c’è il muro che ti aspetta. Sul volante c’è normalmente una piccola tacca bianca che da la posizione del volante da tenere sul rettilineo.
Ogni giro lo si compie in circa 35 – 36 secondi.
Ho conosciuto un ex pilota che in qualunque momento poteva ripetere il gesto di un giro di pista con le quattro variazioni leggerissime di sterzata mimando con la bocca il rumore della macchina, con i leggeri rilasci. E se lo cronometravi il tempo era esattamente quello di un giro. E’ un meccanismo che solo l’esperienza può dare.
Ricordo di aver visto gareggiare il mitico A.J. Foyt, vincitore di tre edizioni, con un braccio praticamente ormai inerte all’età di oltre 50 anni.
Nelle prime fasi le macchine si sorpassano continuamente fra di loro. Ricordo che nel 1992, primo anno in cui feci la telecronaca direttamente dalla pista, fra il passaggio sulla linea dei mattoni e l’ingresso alla prima curva, i tre della prima fila – Andretti padre (Mario), Eddie Cheever e Andretti figlio (Michel) – si superarono a vicenda almeno tre volte: in meno di 500 metri !
A quelle velocità l’effetto scia è fondamentale per effettuare i sorpassi.
La pista ha una larghezza tale che anche nelle curve possono stare tre macchine affiancate, con sorpassi multipli. Il sorpasso inizia in genere a metà di un rettilineo e si conclude nella curva successiva.
Però attenzione: il gioco delle scie può anche determinare la perdita di aderenza ed allora sono guai. Sbattere a quelle velocità è terribile. E spesso gli incidenti sono multipli.
Per questo motivo in alto, sopra le tribune, ogni pilota ha un suo segnalatore che lo avvisa di eventuali incidenti alle vetture che lo precedono per consentirgli di evitare l’ostacolo. Ma spesso l’urto è inevitabile. Un giorno chiesi a Mario Andretti come fosse possibile che lui riuscisse sempre a non farsi coinvolgere negli incidenti. “ Perché io non guardo la macchina che mi precede, ma quelle che le stanno davanti“ mi rispose. Resta il fatto che oltre all’esperienza ci vuole anche un po’ di fortuna. Perché qui gli incidenti hanno quasi sempre conseguenze pesanti. Ricordo che in una edizione che commentai finirono all’ospedale ben 12 piloti.
Ma anche negli incidenti c’è una componente di spettacolarità. Appena una macchina è accidentata escono le bandiere gialle, entra la “pace-car” e le posizioni sono congelate. Intervengono immediatamente i soccorsi, molto coreografici, ed i 400.000 delle tribune trattengono il fiato finché il pilota non è estratto dall’abitacolo. Allora esplode un urlo della folla ed il pilota, appena adagiato sulla barella, di solito alza il braccio in segno di saluto e ringraziamento: anche questo fa parte dello spettacolo.
Agonisticamente la gara si gioca molto sulle strategie dei rifornimenti e delle soste ai box per il cambio gomme. Le soste sono regolamentate per numero degli addetti e per le procedure di rifornimento. L’importante è rimanere sempre in buona posizione per approfittare dei “restart” dopo ogni bandiera gialla, quando la “pace-car” rientra ai box. Se una bandiera gialla si prolunga per più di 5 giri, è importante calcolare i consumi e se si riesce a sparigliare il numero dei rifornimenti si può anche guadagnare un giro. A quel punto i migliori si troveranno nelle posizioni ideali per le ultime battute. E nei sorpassi finali allora il “manico” conta davvero.
Spesso ci si gioca la vittoria per pochi metri o addirittura pochi centimetri. Sempre in quel fatidico 1992 Scott Goodyear, partito in ultima fila con il 32.mo tempo, si giocò la vittoria perdendo per soli 3 centesimi nei confronti di Al Unser Junior. Che bevve lui il latte del vincitore. E si portò a casa il lauto assegno.
Si è parlato molto della partecipazione di Alonso a questa edizione, ricordando gli altri europei campioni che vinsero la gara. Ma mi sembra giusto ricordare gli italiani che hanno partecipato alla 500 Miglia: oltre ad Albero Ascari nel 1952, ecco dunque Fabrizio Barbazza, Teo Fabi – che ottenne la pole position e perse forse la gara perché il bocchettone del serbatoio di benzina rimase bloccato ad un rifornimento – Michele Alboreto ed Alessandro Zampedri. Quest’ultimo nel 1996 si trovò al comando della corsa a pochi giri dalla fine. Ci fu una bandiera gialla per incidente ed al restart ,a tre giri dalla conclusione, era primo ma con un ammortizzatore ormai scoppiato. Sembrava stesse per piovere, il che avrebbe provocato ancora una bandiera gialla.
Ma così non avvenne. In tre giri perse tre posizioni ed all’ultima curva venne centrato da un’altra macchina che lo proiettò nelle reti. Mantenne il quarto posto, ma con un piede maciullato. A un passo dalla gloria.
È la terribile legge di Indianapolis.

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