La Cina è vicina… forse troppo

L’Ospite di Autologia, Marcello Pirovano, giornalista, direttore di Japan Car Magazine, Europe Car Magazine, MotorPad TV e Motorpad.It

Nel 2017 le vendite di auto e veicoli commerciali in Cina sono state di 28,88 milioni di auto con una crescita di “solo” il 3% sul 2016 segnalando che forse l’incremento tumultuoso in atto da 27 anni sembra essersi arrestato; non a caso gli analisti per quest’anno stimano un ulteriore aumento, ma non superiore al 2,5%. Resta il fatto che la quota del 30% sul totale delle immatricolazioni fa della Cina il maggior mercato mondiale dell’auto.
Un quadro nel quale hanno particolare importanza le auto elettriche che nel 2017 sono state circa 770.000, con obiettivi che puntano al 10% delle vendite nel 2019, al 22% per il 2020 e al 25% per il 2025. Un altro primato, quindi, ad appannaggio del grande paese asiatico.
La riprova viene dal Salone di Pechino dove sono state presentate circa 170 nuovi modelli di auto elettriche/elettrificate di cui 120 sviluppate in Cina.

Si spiega anche così l’interesse di tutti i costruttori europei, americani e giapponesi per un mercato di tale ampiezza, potenzialità e rapidità di cambiamento, stimolato inoltre da nuove normative che, tanto per cominciare e ribadire la nuova politica ambientale del Governo, già per la fine di quest’anno prevedono la sospensione della produzione di oltre 500 modelli attuali che non rispondono più alle nuove normative sulle emissioni.
E che dovranno pur trovare adeguate sostituzioni per non mandare in crisi il sistema produttivo generale dove operano oltre un centinaio di marchi in molti casi controllati dallo Stato. 

Ancora più importante la seconda novità arrivata da Pechino. Riguarda l’abolizione della norma che dal 1994 imponeva a chi voleva impiantarsi in Cina di legarsi con accordi a costruttori locali e di produrre sul posto i modelli stranieri destinati al mercato interno. Da qui le classiche joint-venture dalle quali ha avuto inizio il massiccio processo di trasferimento di know-how tecnico che ha messo in moto lo sviluppo dell’industria automobilistica cinese. La National Development Reform Commission ha ora stabilito che l’obbligo degli accordi decade subito per le auto elettriche, dal 2020 per i veicoli commerciali e dal 2022 per tutto il comparto.

È evidente che le auto cinesi, prodotte con o senza l’apporto di partner stranieri ed elettriche e/o normali, ma più rispettose dell’ambiente, diventeranno molto più competitive per l’export e i nuovi sbocchi non potranno essere solamente quelli dei paesi emergenti e dell’Africa, ma coinvolgeranno in modo più aggressivo   l’America e soprattutto l’Europa dove i cinesi aspirano ad una presenza ben più rilevante dell’attuale. Lo dimostra anche una partecipazione sempre più accentuata ai grandi Saloni internazionali come Ginevra, Francoforte, Detroit.

Quali conseguenze avrà questo probabile scenario per niente tranquillizzante per gli impianti produttivi soprattutto europei? È proprio sbagliato pensare che le auto cinesi di nuova generazione, elettrificate o normali che siano, possano trovare buona accoglienza anche in Occidente? Ricordiamo il caso delle marche coreane che sembravano inadatte ai gusti e alle esigenze europee e ora sono tra le più tecnicamente avanzate e stilisticamente gradevoli? Li abbiamo visti, per fare un esempio, i nuovi SUV cinesi al Salone di Pechino? Aggiungiamoci, come arma in più per farsi accettare, la componente del prezzo che sarà sicuramente molto concorrenziale (si è perfino sentito parlare di una mini-citycar elettrica da 2,5 metri, a meno di 8.000 euro) ed ecco che qualche crisi occupazionale negli impianti dei paesi sotto attacco è da mettere in conto e l’Italia rischia di essere tra quelli più esposti. Gli USA sono tutelati dalla politica neoprotezionistica di Trump. Nella conquista di nuovi mercati i cinesi potranno trovare aiuti anche nelle reti di vendita occidentali storicamente molto professionali, ben presenti sul territorio e in maggioranza già organizzati già operativi con mandati plurimarche, ma inevitabilmente predisposti a vendere quello che viene richiesto.     

I più importanti Gruppi o marchi cinesi che per dimensioni, accordi e prodotti sono meglio attrezzati per uno sviluppo anche dell’export sono:

SAIC MOTOR Proprietaria la Municipalità di Shanghai. Primo marchio cinese con 3,2 milioni di vendite nel 2017. Joint-venture con Volkswagen e General Motors. Distribuisce i suoi prodotti anche tramite Alibaba.

 2 DONGFENG Statale. Capacità produttiva 3,5 milioni di veicoli. Socia al 14,9% del capitale del Gruppo PSA. Accordi con Renault (Dongfeng Renault Automotive Company) Kia, Honda, Nissan.

3 FAW Statale. Oltre 2 milioni le vendite 2017. Accordi con Volkswagen, Audi, Mazda e Toyota.

CHINA CHANG’AN Statale. Capacità produttiva 2 milioni di veicoli. Accordi con Suzuki, PSA, DS e Ford-Mazda.

5 BAIC Statale. Accordi con Mercedes per produrre modelli Premium e del marchio elettrico EQ; dal 2025 solo auto elettriche.

GAC Società per Azioni. 800.000 veicoli/anno J-V al 50% con FCA per produrre localmente Jeep Renegade e Compass; altre collaborazioni con Toyota, Mitsubishi e Honda; ha collaborato anche con Alfa Romeo.

GEELY Prorietario l’imprenditore Li Shufu che possiede Volvo Cars, i London Taxi, Cao Cao (Car Sharing); Volvo Trucks (8,2%), Lotus (51%), Proton (49,9%). Primo azionista Daimler con il 9,7% di azioni. È interessato anche alle auto volanti.

GREAT WALL Privata e partecipazione statale. Respinta da FCA l’offerta per il marchio Jeep; esporta anche in Italia e produce anche in Russia, Iran, Indonesia, Vietnam e Nigeria.

BRILLIANCE Statale. Accordi con BMW per marchio di auto elettriche ZINORO e produzione di Serie 3 e 5. 200.000/anno la produzione.

10 CHERY Parastatale. In compartecipazione 50:50 con Israel Corporation nel 2007 ha fondato il marchio QOROS. Accordo con DR per produzione in Italia.

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