La prova del pullman

Ogni tanto mi capita di leggere (anche su questo blog) di malcelate insoddisfazioni di (più o meno giovani) giornalisti nei riguardi di altrettanti (sicuramente più giovani) PR dell’auto. Non sono in grado di giudicare da che parte della barricata stia la verità, ma di una cosa sono sicuro: i tempi sono cambiati (non necessariamente in peggio) e più d’uno dovrà farsene una ragione. Chi da un pezzo ha passato la mano a colleghi più giovani lo sa, ma sa anche che c’è una cosa che il tempo non potrà mai cancellare: i nostri ricordi, che rimarranno indelebili nelle nostre menti e nei nostri cuori di ‘vecchi’ addetti stampa. Singoli episodi, aneddoti e soprattutto persone che, in una maniera o nell’altra, hanno lasciato il segno nella nostra vita professionale. Nel mio caso – in particolare – cinque nomi su tutti, quelli di altrettanti giornalisti che non sono più con noi e ai quali, a distanza di tanto tempo, mi capita spesso di ripensare, e sempre con grande rispetto: Athos Evangelisti, Giancenzo Madaro, Alberto Bellucci, Annibale Falaschi e Gino Rancati.

Autorevole e storico Presidente dell’Unione Italiana Giornalisti dell’Automobile (meglio conosciuta come UIGA) e importante firma della Gazzetta dello Sport, Evangelisti è stato colui il quale dalla Fiat mi ha portato alla Volkswagen Italia, che allora si chiamava ancora Autogerma. Ricordo di averci messo un solo fine settimana (dall’11 al 14 settembre del lontanissimo 1987) per passare da Torino a Verona, da corso Marconi a via Germania. Da quel momento, Athos era diventato il mio consigliere più fidato, aiutandomi ad affrontare un’esperienza complicata ma assolutamente entusiasmante.

Giancenzo Madaro, che avevo avuto occasione di conoscere quando era Direttore di Quattroruote mentre ancora imparavo il mestiere sulle rive del Po, è stato forse quello più ‘umano’, quello che mi ha capito e incoraggiato nei momenti difficili, e che mi ha anche aiutato a raggiungere qualche successo nel mio lavoro. Un vero maestro di signorilità, Giancenzo, che ricordo sempre con grande piacere e che mi è mancato moltissimo in alcuni difficili momenti della mia carriera.

Quando andavo a trovare Alberto Bellucci – grande appassionato e storico dell’auto -, nel suo ufficio di Direttore dell’Automobile, la rivista dell’Aci, non potevo fare a meno di perdermi tra la montagna di riviste, libri e lettere d’invito a presentazioni stampa che letteralmente sommergevano la sua scrivania e la sedia su cui mi invitava a sedere. Dietro di lui, appesa ad una paretina di sughero, una foto in bianco e nero che riguardava non so più quale modello Volkswagen. “Se ho qualche dubbio su quale marchio scrivere – mi diceva – mi giro indietro e quella foto mi aiuta a ricordare chi mi è simpatico…”.

“Ciao Sergino”: mi salutava sempre così Annibale Falaschi, con la voce che non superava mai quei pochissimi decibel che servivano a farsi sentire. E non era certo per qualche problema di gola, ma solo per la sua grande educazione e signorilità, che riuscivano per magia a farmi dimenticare le brutture di un mondo che non era più (non lo è ancora, purtroppo) quello di una volta. Sapeva che la mia passione era scrivere, e allora mi ha dato la possibilità di provare, per un po’, l’ebbrezza di essere un giornalista facendomi divertire sulle pagine del suo ‘Crash’. Grazie ancora, Direttore.

A Gino Rancati, per anni autorevole voce e volto della RAI, sono invece legati – e sembra strano a dirsi, visto il suo carattere decisamente non facile – i momenti più divertenti della mia vita di uomo stampa. Irascibile e polemico con chi non riusciva a capirlo e ad assecondarlo, sapeva essere delicato e sensibile con chi, secondo lui, se lo meritava. Vecchio, caro Gino! Ricordo quella volta (eravamo in Germania per la presentazione di non so quale modello Volkswagen) che a Colonia perdemmo la coincidenza del nostro volo (Lufthansa…) col treno superveloce ICE, che ci avrebbe portato a Wolfsburg, sede della Casa tedesca. Furono particolarmente lunghe le tre ore passate sul pur confortevole autobus messoci a disposizione dagli amici tedeschi dell’ufficio stampa. Tant’è, a soli tre chilometri dal traguardo accade l’inevitabile. Io sono seduto rigorosamente in testa, a fianco dell’autista. Lui in un posto di coda, dove aveva sonnecchiato sino a quel momento. D’un tratto la sua voce chiara e stentorea sovrasta il brusio generale: “ Sergio!”, mi urla dal fondo. “Eccomi, Gino”, rispondo io. “Siamo venuti in Germania a provare un’auto (breve pausa) o UN P-U-L-L-M-A-N” (dove la parola pullman era stata ben scandita e pronunciata con grande enfasi). Ed io: “ Un pullman, Gino, un pullman”. E mentre un’interminabile risata generale (compresa quella dell’autista, italo-tedesco) ci accompagna sino a destinazione, vedo Gino mimare per l’ennesima volta l’operazione di comporre con l’indice un numero di telefono. Come a dire: ora chiamo il tuo Presidente (un certo Bent Schlesinger) e gli racconto le tue malefatte.

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