Le automobili e i giornalisti (seconda parte)

Le automobili e i giornalisti (prima parte)

La Pechino-Parigi fu lo spettacolare punto di intersezione tra giornalismo e automobile inventato da “Le Matin”, quotidiano il cui inviato Jean du Taillis era passeggero sulla Spyker che inseguì (si fa per dire) la Itala di Borghese.
La stagione forse più formidabile della stampa era iniziata dalla seconda metà dell’ ‘800 quando, in un cinquantennio, venne trasformata in un’industria dall’evoluzione delle tecniche e dei processi tipografici, insieme a quella della trasmissione delle informazioni.
La prima rotativa fece la sua apparizione al Times di Londra negli anni ’60: sarebbero seguiti i giornali di Francia e Stati Uniti, dove, a Baltimora, nel 1884 nacque la linotype. Nello stesso arco di tempo erano apparsi il telegrafo elettrico (1866), il telefono (1876) e il telegrafo senza fili (1896): e accanto alla ferrovia, l’automobile, sulla quale viaggiarono presto gli stessi giornali, se è vero che nel 1904 le copie dell’edizione parigina del New York Herald erano distribuite utilizzando una Mercedes.
L’età d’oro della stampa quotidiana francese – che sarebbe durata un trentennio – prese il via con la legge del 1881 sulla libertà di stampa, che aboliva autorizzazione e censura preventive. E se a Parigi la tiratura globale dei quotidiani cittadini aveva già superato il milione di copie nel 1870 (mentre in provincia si contavano oltre duecento periodici), all’inizio del 20° secolo la capitale ospitava sessanta degli ormai quattrocento giornali francesi. Solo cinque però di quei sessanta si spartivano il grosso delle tirature e, raggruppati nel “Consorzio”, si dividevano il mercato e la pubblicità. In questo e in altre cose, come l’utilizzo degli inviati, avevano tutti preso esempio dalla stampa americana.
“Le Petit Journal”, che già verso il 1890 superava il milione di copie quotidiane (con supplemento illustrato settimanale, il primo al mondo), era stato superato da “Le Petit Parisien”, attestato su una tiratura di un milione e mezzo, grazie all’attenzione alla cronaca, ai fortunatissimi feuilletons, ai concorsi ed ai quattrocentocinquanta corrispondenti dalla provincia. “Le Journal” (1892) arriverà al milione di copie alla vigilia della Grande Guerra, come a quattrocentomila arriverà “L’Echo de Paris”. E infine, eccolo, “Le Matin”, fondato nel 1884 dal giornalista anglofrancese Alfred Edwards, con capitale americano. Le cronache descrivono Edwards come un autocrate che “praticava la volgarità come uno sport” e trattava allo stesso modo (male) giornalisti e mogli (fu accusato dell’assassinio della quarta). Nel 1895 vendette il giornale al banchiere Poidatz: principale azionista era Maurice Bunau-Varilla che i soldi pare li avesse fatti destreggiandosi, diciamo così, a fianco del fratello Philippe nell’affair del Canale di Panama. Nel 1897 il giornale è suo; vi avrebbe visto sempre uno strumento dei suoi interessi politici e d’affari. E anche della sua spiccata megalomania, a dire il vero, che figliò un’aneddotica rigogliosa: comunque, a parte gli yacht e le residenze entrambi principeschi, e ad aver fatto dipingere in rosso vivo la facciata del giornale ( che divenne la “Maison Rouge”), Bunau-Varilla dichiarò, senza giri di parole “Le Matin c’est moi”, tanto che i collaboratori non potevano firmare se non con pseudonimi scelti da lui. E firmare corpose didascalie, più che articoli: “Le Matin” pubblicava così valanghe di notizie e (molta) pubblicità, sul modello americano. Ma “Le Matin vede tutto, sa tutto, dice tutto” proclamava Bunau-Varilla, autodefinendosi “il Protettore”.
Per esempio dell’industria automobilistica francese. Il 31 gennaio 1907 un articolo insolitamente lungo invitò a far uscire l’automobile dalle competizioni in circuito chiuso facendole affrontare prove più ardue: “la migliore industria francese aveva il diritto di volere, per fare le sue prove davanti al mondo, un campo più largo”. E si terminava con l’invito ai costruttori francesi e stranieri a cimentarsi in auto sul tragitto da Parigi a Pechino.
Il giorno dopo ”Le Matin” pubblicava già una risposta, guarda caso quella di Albert De Dion, fondatore dell’Automobile Club francese e, con Georges Bouton, per l’appunto della De Dion-Bouton, casa francese che all’epoca impiegava già tremila dipendenti.
Per la verità De Dion qualche dubbio sulla reale fattibilità l’aveva, ma la ruota cominciò a girare, sullo sfondo anche del confronto treno-automobile che presto sarebbe stato sostituito da quello tra automobile e aereo. Insomma, ci si era ormai inoltrati nell’epoca – che è ancora la nostra – in cui eventi (e polemiche) se non ci sono si inventano…..
Le adesioni furono una quarantina, raccolte tanto velocemente quanto velocemente volatilizzatesi, man mano che si cominciò a realizzare la quantità di incognite e difficoltà che la faccenda presentava, oltre ai costi – a carico dei partecipanti – ed al deposito di duemila franchi che sarebbe stato restituito… a Pechino, perché nel frattempo il timore (per altro infondato) di incontrare la stagione delle piogge aveva spostato laggiù il luogo della partenza.
Alla fine, della partita sarebbero rimasti la Dion-Buoton con due vetture, l’olandese Spyker, Camille Contal con il suo triciclo a motore e il conte Giulio di Gropello, che nel 1904 con il cugino Emilio aveva vinto la coppa della Dehli-Bombay su Fiat e su Fiat contava di partecipare.
E oltre a loro, naturalmente, il principe Scipione Borghese, che aveva laconicamente comunicato da Roma la sua partecipazione, iniziando immediatamente a preparare auto e viaggio. La prima la affidò al suo driver e factotum Ettore Guizzardi: era l’Itala che il principe aveva acquistato con l’obiettivo di partecipare al raid, anche se la casa – una delle marche amate dai vips della Belle Epoque – non pare fosse particolarmente entusiasta dell’idea.
Quanto al viaggio, dire che Borghese era preparato ad affrontarlo è un eufemismo: viaggiatore, esploratore, diplomatico, alpinista, aveva già compiuto viaggi memorabili tra Golfo Persico e Pacifico, e in Cina, dai quali aveva tratto due libri. Conosceva i luoghi del percorso, aveva amicizie e relazioni internazionali, esperienza sul campo, capacità organizzative e, naturalmente, mezzi finanziari. Ed ebbe subito un’idea precisa della propria partecipazione: arrivare a Parigi per primo, anche se nel frattempo gli altri concorrenti avevano siglato un gentlemen’s agreement che li impegnava non ad una gara ma ad un raid non competitivo in cui chi si fosse trovato in difficoltà sarebbe stato atteso ed aiutato…accordo che peraltro Borghese non firmò.
Per la verità non si recò neppure a Parigi, dedicandosi piuttosto all’organizzazione logistica e a trovare soluzioni – che si sarebbero rivelate astute e vincenti – al dilemma mezzo pesante/mezzo leggero che era all’ordine del giorno tra gli altri concorrenti e sui giornali (per esempio le grosse ruote in legno si rivelarono vincenti, la sosta in falegnameria nasceva dall’unico problema che ebbero). E quando l’Itala fu pronta, il principe semplicemente partì, mettendo tutti davanti al fatto compiuto: e tutti partirono. La De Dion- Bouton inviò due suoi collaboratori, Georges Cormier e Victor Colignon, entrambi esperti piloti, coadiuvati da Jean Bizac, meccanico; il triciclo, sulla cui leggerezza Contal scommetteva per superare le asperità del percorso, fu affidato ad un giovane pilota, Auguste Pons ed al meccanico Octave Foucault.
Il conte Gropello partì con l’intesa che la sua Fiat l’avrebbe trovata a Pechino; la Spyker sarebbe stata guidata da un curioso personaggio, Charles Godard, un ex-fantino con qualche esperienza di automobilismo, soprattutto un avventuriero che viveva più o meno simpaticamente di espedienti, tuttavia coraggioso e generoso. Ciò a detta del suo compagno di viaggio Jean du Taillis, scrittore, giornalista e viaggiatore, già autore di libri e pubblicazioni sul Marocco “pittoresco”, per l’occasione inviato di “Le Matin”. Che Bunau-Varilla si volesse garantire cronache di prima mano è più che ovvio: ma non ebbe certo l’esclusiva…..(continua…)

luigibarzini

1 commento
  1. Roberto Chiodi
    Roberto Chiodi dice:

    Caro Brugnotti,
    Complimenti da un collega in pensione. Se avrai necessità di completare i racconti della Pechino-Parigi, sul mio sito troverai i diari di bordo delle riedizioni con le auto storiche alle quali ho partecipato (1997, 2007 e 2016). Ho saltato quelle del 2010 e 2013, ma non si può fare tutto nella vita…
    La prossima ci sarà nel 1019, chissà.

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