L’elettrico a Torino più di cent’anni fa !

Sabato pomeriggio 16 gennaio scorso gli operatori di RAI 3 e il giornalista Gabriele Russo erano al Museo dell’Auto di Torino per girare un servizio per il TG3 R Itinerante, andato in onda la sera stessa e uno spezzone mandato in onda da RAI News 24.

L’occasione l’ha creata la partenza di Stellantis: con una francese Peugeot del 1892, la prima vettura a circolare sulle strade italiane. Al Museo, illustrata dal conservatore del MAUTO, Davide Lorenzoni, non poteva mancare una delle primissime Fiat 1899, motore a 2 cilindri orizzontali contrapposti, dell’ingegner Faccioli.

Una vis-à-vis: 2 persone lato guida e una davanti a loro (la vettura era sprovvista di marcia indietro, aveva solo 3 marce avanti).

Poi il presidente Benedetto Camerana ha illustrato i futuri progetti (Covid permettendo) e – visto che si parla tanto dell’elettrico – il sottoscritto ha ricordato che sempre al MAUTO c’è una STAE del 1909 (Società Torinese Automobili Elettriche):10 Cv, 30 km/h, 80-90 km di autonomia.

La fabbrica aveva rilevato l’attività della Kriéger (marca francese nata a Torino ai primi del ‘900), producendo le elettriche come vetturelle, vetture, furgoni (con accumulatori) dal 1905 al 1912, quando ha chiuso causa il predominio dei motori a scoppio.

Con quella che segue una storia diramata dall’Automobile Club Torino ai visitatori dell’ultimo Automotoretrò nel gennaio 2020.

E poi i ricordi da giovani dei primi anni ’50, quando magari ci si svegliava di notte e si andava alla finestra, guardando quel che succedeva in strada. I bus non esistevano e tutto il traffico (non supportato dalle ancora poche automobili) veniva servito dai tram: viaggiavano da un estremo all’altro della città grazie a una allora fitta rete di cavi elettrici, sostenuti da piloni di ferro o sbarre ancorate ai muri delle case.

Esisteva però un rispetto per chi dormiva! Binari e scambi non erano immuni da guasti. Si poteva intervenire solo di notte, quando i tram (come ora) non circolavano. I tecnici (da 2 a 4) prestavano però molta attenzione al sonno altrui, presentandosi sul luogo del problema con vettura non dotata di motore e marmitta “scatarranti”, ma una silenziosa auto elettrica: una Fiat Balilla. A loro detta ce n’erano pochi altri esemplari. Come la 508 del Parco Mezzi del Comune di Torino, alla quale, nel 1953, era stato sostituito il motore a scoppio trasformandolo in elettrico (alimentato con batterie al piombo), facendola diventare l’auto per gli spostamenti del sindaco (dal 1951 al ‘63) Amedeo Peyron.

La luce era fornita dai cavi elettrici dei tram ai quali agganciavano una specie di lancia da cavalieri del Medioevo, allungabile, provvista all’estremità di un “amo” ricurvo e, inferiormente, di una potente lampadina che illuminava lo scambio “infortunato”. A riparazione avvenuta, altrettanto silenziosamente, sganciavano e riaccorciavano la lancia, ricaricavano gli attrezzi sulla vettura e tornavano alla base.

Allora, però, di elettrico non c’era solo la Balilla dell’allora ATM (Azienda Tranviaria Municipale). I frigoriferi non erano ancora in vendita, la conservazione dei cibi era ancora demandata alle “ghiacciaie”. Così, nelle vie, passavano lentamente furgoni elettrici: sul lungo pianale posteriore – protetto da un telo – trasportavano quadrate barre di ghiaccio, lunghe almeno un metro e mezzo. Con il bel tempo, in piedi sulla pedivella di destra, un uomo dotato di megafono urlava “ghiaccio, ghiaccio” e il furgone si fermava quasi a ogni isolato. Udito l’annuncio le casalinghe scendevano in strada, i macellai, verdurieri e baristi uscivano da negozi e bar per rifornire le loro ghiacciaie: “l’urlatore” si portava sul retro del pianale e, con un robusto gancio di ferro, trascinava a sé una o più barre che poi – con un martello e una sorta di largo e sottile scalpello – tagliava a seconda della misura desiderata, consegnandola alla signora (o al negoziante) che l’aveva richiesta. Poi il furgone se ne andava, silenziosissimo, mosso dalle batterie. Quasi settant’anni fa!

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