L’inquinamento atmosferico in Cina sta uccidendo una media di 4.000 persone al giorno

L’Ospite di Autologia: Enzo Caniatti.

È notizia di questi giorni che in Cina il ministero per l’ambiente ha iniziato un’opera di controllo su vasta scala per verificare la conformità alle norme antinquinamento dei veicoli Volkswagen, importati e prodotti localmente.

Prima che si sollevi il solito polverone mediatico, consigliamo di leggere il rapporto di Berkeley Earth, un gruppo di ricerca indipendente finanziato in gran parte da borse di studio, e pubblicato sul giornale on-line PLoS ONE dalla Public Library of Science, è stato stilato nell’agosto di quest’anno.

I ricercatori sostengono che l’inquinamento atmosferico in Cina sta uccidendo una media di 4.000 persone al giorno. Gli scienziati attribuiscono la responsabilità dei decessi soprattutto alle emissioni delle centrali a carbone e in particolare alle minuscole particelle note come PM2,5 che possono scatenare attacchi di cuore, ictus, cancro ai polmoni e asma e che – secondo lo studio di Berkeley Earth – uccidono silenziosamente 1,6 milioni di persone all’anno, il 17% del livello di mortalità della Cina.

Vale la pena ribadire che l’accusa rivolta a Vokswagen dagli americani riguarda l’eccesso di NOx, ossia gli ossidi di azoto. Non si tratta di un gas nocivo, come l’ossido di carbonio, le polveri sottili o l’anidride carbonica. È già presente nella composizione dell’atmosfera ed è innocuo per la salute. anche se in elevatissime concentrazioni può avere effetti disastrosi sul clima.

È ciò che si vuole evitare applicando sempre più restrittive normative sull’inquinamento che obbligano a ridurne il tasso nelle combustioni ad alta temperatura, proprio come quelle che avvengono nei motori degli autoveicoli, in particolare i diesel. Ben diverso il discorso per le PM2,5 che sono puro veleno per i nostri polmoni anche in concentrazioni nettamente inferiori.

In Cina Volkswagen ha programmato investimenti nei prossimi anni per 18 miliardi di euro e mira a incrementare le vendite a 4 milioni di immatricolazioni all’anno. Non sarà che prese di posizioni e tracotanti proclami nascondano una sottile strategia a protezione dei costruttori nazionali?

Del resto proprio la famosa normativa che ha inchiodato Volkswagen e messo in crisi il mercato mondiale dei motori diesel ha origini non poi così tanto “green” come si vorrebbe spacciare.

Nel 2009 Barack Obama si era appena insediato alla Casa Bianca. La nuova amministrazione americana, a guida democratica, aveva bisogno di dare in pasto ai propri elettori “eco-progressisti” qualche cosa di eclatante che imprimesse una discontinuità con la precedente amministrazione Bush. Il colpo grosso era una legge sul controllo delle armi, ma la lobby che ne protegge i fabbricanti era ed è troppo forte. Dunque si cercò qualche cosa d’altro.

L’auto USA viveva la bufera della crisi Chrysler. La lobby dei fabbricanti d’auto era quantomeno indebolita. Obama ordinò all’Epa (l’agenzia americana per la protezione dell’ambiente) la revisione dei limiti sulle emissioni inquinanti delle vetture e autorizzò la California e altre 13 Stati a fissare standard più severi sui gas di scarico.

La “furbata” di Wolfsburg è stata di aggirare quei limiti creando un software ad hoc. La “sciocchezza” montarlo anche dove non ce n’era alcun bisogno (pare a partire dal 2009), ovvero su tutti i motori 2.0 Turbodiesel del Gruppo. Risultato il mezzo milione di auto targate USA sono diventate le 11 milioni distribuite nel mondo.

La caterva di stupidità, inesattezze e il pressapochismo che purtroppo caratterizza i media del terzo millennio hanno fatto il resto, gettando nel panico i possessori di qualsiasi veicolo diesel e il mondo dell’automotive che teme ripercussioni impreviste e imprevedibili da questo tsunami esploso proprio quando il settore stava faticosamente uscendo da anni di crisi e stagnazione.

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