Quando morì Gilles io ero lì

L’Ospite di Autologia:

Sulla pista di Zolder morì, 34 anni orsono, Gilles Villeneuve, il più amato dei piloti della Ferrari. Fu coinvolto in un incidente causato da un grave errore tecnico del tedesco Jochen Mass.

Cominciai a scrivere un libro su Gilles Villeneuve qualche settimana dopo la sua morte sulla pista belga di Zolder. Io ero la, ai box, inviato speciale del “Corriere della Sera”, e ho sempre ricordato quei terribili momenti e quelle terribili ore che seguirono l’incidente. Il libro che ho scritto è l’esatta fotografia di quel che avvenne quell’8 maggio 1982 a Zolder. Ne ho visti altri, di libri che riguardavano Gilles, negli anni seguenti, firmati da persone che in quel tristissimo giorno non c’erano e che, quindi, si basavano su testimonianze riportate e non vissute. I quattro anni che Gilles visse in Ferrari io li ho vissuti tutti, giorno per giorno. E il mio libro “Gilles Villeneuve” ricorda la vita, purtroppo breve, e le avventure del mito della formula , che infiammarono la passione di milioni di ferraristi. Una passione che vive ancora, dopo 34 anni.

L’INCIDENTE FATALE DI ZOLDER La Ferrari usci dal box, velocemente. il commissario, seduto sul muretto, non ebbe quasi il tempo di azionare il semaforo per dare il verde, segnale di via libera. Gilles aveva fretta, doveva recuperare qualche decimo di secondo. Non aveva più gomme, le aveva consumate nella pri­ma mezz’ora del turno finale di qualificazione. Ma era uscito egualmente fidando in se stesso e in un briciolo di fortuna. “Un giro buono ci può uscire, anche senza i pneumatici morbidi, quelli da qualificazione – pensava Gilles mentre la pista di Zolder gli volava via dai lati. – Forse riesco a su­perare Didier, ci vorrebbe la pista libera e la possibilità di imbroccare tutte le traiettorie giuste”. Il turbo dette tutta la spinta, la potenza salì sulla schiena di Gilles e gli dette un brivido, di piacere. Si concentrò, dopo il rettilineo dei box dov’erano i cronometristi che prendevano i tempi. La staccata gli riuscì alla perfezione, fece la curva a sinistra, poi a destra, percorse il tratto misto con soddisfazione. Sentiva le gomme abbastanza bene, forse lo avrebbero aiutato. Aveva un conto da regolare con Pironi dopo la faccenda di Imola. Voleva dimostrargli che il Nuvolari della Ferrari era sempre lui, Gilles Villeneuve, volto di bambino, ma cuore di Leone. “Nuvolaneuve”, come lo avevano ribattezzato. Avrebbe affrontato il lungo curvone in quinta piena. Lì avrebbe fatto il tempo, lì avrebbe tentato di superare il limite delle gomme, e quindi della macchina. Impresa per altri piloti forse impossibile, forse nep­pure immaginabile. Si lanciò. A 260 all’ora arrivò al curvone. Trecento metri avanti vide un’auto. Viaggiava lenta, a sinistra, proprio sulla traiettoria che avrebbe dovuto percorrere. “Accidenti —si disse Gilles —, sono fregato. Proprio sulla mia strada me lo dovevo trovare… ma chi è?… Se passo al­l’esterno addio tempo, sono fregato… porca miseria, sono fregato… Ma guarda un po’… “. II piede di Gilles rimase incollato all’acceleratore. Da­vanti, Jochen Mass viaggiava a circa cento chilometri all’ora in meno. Vide la macchina arrivare, duecento metri forse meno, sullo specchietto. “Sta cercando di fare il tempo —si disse Jochen, che rientrava al box dopo un’inutile batta­glia contro la modestia della propria March —, se resto sulla sinistra, all’interno della curva lo danneggio. Mi sposto a destra, cosi gli lascio via libera”. Gilles, concentrato, aveva ormai deciso. “Ecco stai lì, che ti passo a destra, all’esterno… Porca miseria, possi­bile che proprio in questo momento quello lì… Mamma mia, cosa fa?… No… no… non spostarti, non posso più correggere… no, buon dio… adesso volo… diranno che sono un aviatore… accidenti… se distruggo la macchina con che cosa corro domani?…” Un tocco, quasi leggero, fra le gomme. La Ferrari si alzò, velocissima, come se dovesse compiere l’acrobazia ri­chiesta dal suo pilota. Ricadde di punta, si rialzò, ricadde, si rialzò, ricadde per sempre. Una frustata sul collo di Gilles, tremenda. « Non è colpa mia… non ho sba..glia..to. No, io ero lì, lui doveva capire che non doveva spostarsi… Cosa mi sta succedendo? Joanne, perché hai il viso cosi triste? Ho freddo Joanne, alza il termostato sennò Jacques e Melanie prendono un raffreddore… Quanto freddo… Mamma, mam­ma! Ma quando sei arrivata? Che ci fai su una pista, mam­ma? Joanne, ti ricordi quando ti conobbi, in discoteca? Io in discoteca non ci venivo quasi mai, preferivo gli amici, le macchine, le motoslitte. Eri cosi carina, Joanne! Hai visto quante volte sono venuto in discoteca, per te? Joanne, ho freddo… mamma, dammi la mano. Fra poco in Canada co­mincia la bella stagione, è bello il Canada, mamma… ma è freddo… Jacques, Melanie… state buoni, un momento. Si, si… Jacques ti comprerò un motovelò, ma adesso sei troppo piccolo, pensa prima a sciare come si deve… Si, ti insegne­ranno Podborski e Read, i miei amici canadesi della di­scesa libera… No, mamma… è buio… che paese il Belgio, fa buio di primo pomeriggio… Ma perché piangi, mamma? Non ricordi i begli anni di quand’ero bambino?… Mamma, dov’è la motoslitta? L’hai regalata a qualche ragazzo? E mio fratello Jacques, dov’è? Ha trovato un ingaggio? Papà e rimasto in Quebec? Perché non lo vedo… Papà, c’è il camion… devo imparare a guidarlo… Quanta luce… non è più buio, strano paese il Belgio… Mamma, chi è quel bam­bino che tieni per mano? Che strano, mi assomiglia… ma quello sono io tanti anni fa… si, sono io… Cosa mi succede? Statemi vicino… Joanne, prendimi la mano… Mi fa male il collo, tanto male… E’ come se qualcuno mi strangolasse… si, commendatore… mi dispiace di aver rovinato la macchina… ma quello era sulla traiettoria e s’è spostato… vorrei chiu­dere gli occhi, mamma. Che bello ritrovarsi bambini… come Jacques… ho messo a mio figlio il nome di mio fratello… siamo una famiglia unita… si, tutti insieme… dove?… non lo so… che male al collo, mamma… portami via… ecco cosi… Bello, bello… bello… Joanne… ciao… resta ancora un po’ con me… in discoteca… la luce… una doccia di luce… l’elet­tronica… Joanne… mamma… ». Il medico usci dalla camera del pronto soccorso, l’in­fermiera spense la grande lampada bianca. Si guardarono… scossero la testa… “Trasportiamolo in ospedale — disse il dottore — con l’elicottero… subito… un tentativo estremo… Ma è difficile che possa sopravvivere a lesioni come queste…”. L’elicottero, grande e verdastro, s’alzo turbinando, far­falla del destino di Gilles Villeneuve.

 

2 commenti
  1. Renato Ronco
    renato ronco dice:

    Grazie Nestore per aver ricordato Gilles. Purtroppo pochi lo hanno fatto in questo anniversario. Ma noi che lo abbiamo conosciuto abbiamo quella data impressa nella memoria. E come noi tanti che non lo hanno conosciuto ma che ne erano affascinati per il suo coraggio e la sua personalità generosa e genuina. Ciao Gilles!

  2. Enzo Branda
    Enzo Branda dice:

    Ho letto le prime dieci righe. no, non riesco a proseguire. Chiedo scusa a Morosini, ho letto e condiviso tantissimi suoi articoli e l’ho seguito in televisione. Non mi riesce di continuare a legger questo ed altri pezzi sul “piccolo, grande canadese”, sull’Aviatore. Sono trascorsi 34 anni, eppure l’emozione mi assale ogni volta. Nello stesso modo, come non riesco a rivedere le immagini della Williams dritta contro il muretto di Imola. No, non riesco neppure a proseguire a scrivervi. Grazie comunque. Enzo Branda

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