Quando Nannini correva e vinceva nei rally

L’Ospite di Autologia: Beppe Donazzan, giornalista.

Il 7 luglio è il compleanno di Alessandro Nannini, nato a Siena il 7 luglio 1959. Tutti lo conoscono come pilota di Formula 1, pochi invece sanno che ha iniziato, e con successo, correndo i rally.

Il rally fu il primo passo di una grande carriera. Da protagonista.
Anzi, fu il secondo dopo il motocross, con i motori da sempre nel sangue.
Alessandro Nannini, Sandro per brevità, Nano per gli amici, era alla guida di una Lancia Stratos rossa. Una macchina seria, finalmente. Potente, dalle accelerazioni violente, dalla tenuta di strada sorprendente, dalle frenate efficaci che consentivano di osare. Correva sulle strade sterrate che conosceva a memoria. Della sua Toscana, della sua provincia, Siena. Le aggrediva con il piede sempre giù, con la sicurezza di colui che amava quella terra e le sue colline. Avrebbe potuto schiacciare allo stesso modo anche senza le note, che gli arrivavano nell’interfono, gridate da Chicco Ortalli, amico di sempre, nato a Parma, classe 1957, due anni più vecchio, senese d’adozione.
Era la fine di marzo 1979, terza edizione del rally di Radicofani. Come ho raccontato nel libro “Sotto il segno dei Rally” pubblicato da Giorgio Nada Editore, Nannini con quella macchina aveva vinto, una settimana prima, il rally d’Umbria, senza difficoltà. Si adattò in un attimo a quell’auto. Da corsa, la prima. Esordì con una Citroen Dyane al rally Fettunta, altro nome importante delle corse in Toscana. Fettunta, pane abbrustolito, aglio e olio, cibo che sapeva di magia anche per gli appassionati di rally. Sapori antichi e intensi come la passione.
Anche con quella macchina, che faceva venire il mal di mare per le sospensioni così morbide, Sandro dimostrò di avere stoffa da vendere. Traiettorie perfette, lasciando che la vettura scorresse, da un punto all’altro della carreggiata, senza modificare la linea di percorrenza. Tirava fuori il massimo delle possibilità velocistiche da una roba impossibile. Il padre Danilo, il signor Nannini della premiata pasticceria, non ne voleva sapere, non gli dava una lira da spendere per l’interesse travolgente del figlio. Così Sandro trovò un lavoro in una bar, tanto per restare nel campo che conosceva. Quando faceva sera, attaccava il rimorchietto, caricava la moto, e andava in una pista da cross vicina a scorrazzare. A volare. Correre, l’obiettivo principale.
La Fulvia HF, gloriosa, vincente nei primi anni 70, il sogno che aveva. Ormai in declino, superata dalla Stratos, dalla Fiat Abarth 131 e anche dalle Opel Kadett. Sandro, comunque, continuò ad inseguirlo.
Tra tutte era quella alla sua portata. Fece un altro passo e si iscrisse, nel 1978, al Radicofani, una settantina di chilometri da Siena. Terra di confine, tra Toscana, Umbria e Lazio, rifugio del ghibellino Ghino di Tacco, dal 1297 al 1300, citato da Dante Alighieri nel sesto canto del Purgatorio e dal Boccaccio nel Decamerone. Una zona di rara bellezza e dalle strade bianche stupende per correre. Un rally importante. Sandro, con quella HF, vecchia, stupì tutti vincendo. Sì, primo assoluto.
Si vide immediatamente che aveva una marcia in più. Era lui a fare la differenza, la macchina non contava. I tempi, nelle prove speciali, gli fecero comprendere di essere forte e di avere ancora degli ampi margini di miglioramento. Che vennero riconfermati nell’edizione che stava disputando con quella Stratos. Dieci erano le prove in programma e dieci furono i successi. Realizzati con una facilità disarmante. Tutte sterrate, molto veloci, Sandro guidò come viaggiasse su asfalto. Un vero trionfo. Bissò il successo dell’anno precedente. Da una vecchia trazione anteriore ad un bolide a motore centrale, fece intravvedere grandi possibilità. Che di là a poco si sarebbero concretizzate in pista. Fino alla Formula 1. Ma con il rally sempre e comunque nel cuore.

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