Una bella macchinetta

Una bella macchinetta, altrochè.

L’ho visto subito quando è uscita: comoda, filante, una linea moderna e pratica.

Anche Zio Alfonso, all’epoca c’era ancora, l’aveva detto: questa volta alla FIAT con la 128 avevano fatto le cose per bene.

E lui lo sapeva perchè c’aveva due fratelli e tre nipoti alla FIAT, a Torino.

Con Mimmo ci eravamo ritagliati la pubblicità che era uscita sui giornali; la sera, in piazza, ce la guardavamo sotto al lampione di fronte al Comune.

Avevamo già deciso: bianco con interni neri la sua, blu con gli interni rossi la mia. Motore 1100, sicuro. Certo la Rallye, con quei quattro fanali dietro tondi, che facevano tanto corsa, era bellissima. Ma noi eravamo sognatori coi piedi per terra, la macchina doveva avere quattro porte, per gli amici, la famiglia.

I piedi li abbiamo messi a terra del tutto l’anno dopo: Mimmo a Bologna a fare il militare, io qui a aiutare mio cugino, che aveva scritto che gli serviva una mano per l’estate.

Che viaggio, tremila chilometri senza dire una parola a nessuno, che tanto dopo il Ticino chi ti capiva?

Partito a maggio e arrivato in novembre, che qui l’estate è come da noi l’inverno.

Poi il cugino, sua moglie, il fratello di lei con la ragazza finlandese, la stanza sopra la pizzeria e un muro con le foto delle ragazze. Al centro lei, sempre. Con una foto sempre più sbiadita che si era rinnovata solo quando Mimmo, adesso anche lui a Torino con gli studenti conosciuti a Bologna, mi aveva spedito addirittura un catalogo! L’aveva rubato in fabbrica e non se ne era accorto nessuno.

Le sorprese non erano finite: adesso c’era anche il mille e tre, un motorino da ben 75 cavalli che spingeva il mio sogno a circa 160 all’ora.

Su Quattroruote, sempre una spedizione del buon Mimmo finchè non avevo convinto l’edicolante a farselo spedire da Helsinki pagandogli tre numeri in anticipo, si parlava di una versione “Sport” di prossima uscita, con motore potenziato e carrozzeria diversa, più grintosa.

Con mio cugino, che mi aveva fatto socio dopo che il cognato s’era sposato e divorziato la finlandese ed era sparito per fare import di qualcosa, ne avevo anche parlato, che qualche soldo da parte l’avevo.

Ma come si faceva? Avrei dovuto comprarla giù e poi portarla lì, ma Kalle il poliziotto mi aveva spiegato che sarebbe stato un problema con la targa italiana.

Rosa non capiva, diceva che se volevo una macchina potevo comprarmi la Volkswagen di Anders, che lui non la usava più, e che da lei in Portogallo una macchina era una macchina e basta.

Non capiva.

Anche Mimmo sembrava aver perso l’interesse: mi scriveva che era sbagliato, che ero caduto nel tranello della società consumistica, un furto dei nostri sogni e altre cose che mi facevano ridere, pensando a quando da giovani c’eravamo rubati il pàttino di fronte ai bagni per fare la traversata del porto di notte, e le mazzate che ci avevano dato quando ci avevano scoperto!

Altro che furto dei sogni.

La Sport poi l’avevano fatta, bella e veloce, ma io c’avevo Luca e Rosa mi aveva fatto comprare la Ford; altro che sportiva: ci dovevamo caricare di tutto quando tornavamo su dal paese.

Zio Alfonso non c’era più e quando chiedevo di Mimmo a mio fratello o agli amici, le risposte erano vaghe.

Anche io non lo sentivo quasi più, poche lettere, qualche telefonata. Parole sempre più di circostanza.

Non lavorava più in fabbrica, non leggeva più Quattroruote. Aveva sempre poco tempo e non mi dava mai un indirizzo dove scrivere.

Io la Ford l’avevo cambiata con l’arrivo di Concetta, e perchè Rosa si era fatta di colpo interessata alle macchine. Adesso con la Volvo, diceva, sembriamo anche noi migliori.

Allora io attaccavo con la storia della mia macchinetta, e Luca dietro, a ridere, mentre Rosa fingeva di impazzire, di non poterne più.

Poi il colpo: Maggio del ’75, il postino lascia in buca la solita copia di Quattroruote, io lo prendo e rimango fermo, così, a bocca aperta, sul vialetto.

Era uscita la 3P. Quattroruote ce l’aveva in copertina.

Una linea da far girare la testa, che quando avevo appeso il poster al locale anche i finlandesi mi facevano i complimenti.

Così, fermo sul vialetto, mi avevano trovato Rosa e i bambini.

Così immobile da non aver visto neanche la lettera.

La lettera diceva che Mimmo le aveva sempre parlato di me, le aveva detto e raccontato di noi, di come dei due io fossi sempre stato il più coraggioso e che ero venuto qui a farmi un mazzo tanto al freddo. Che lui lottava anche per me, perchè non ci fossero più amicizie divise come la nostra.

Poi c’era l’articolo, ritagliato dal giornale.

Diceva che in uno scontro tra manifestanti e poliziotti era caduto un militante del Movimento, che era armato, o così era sembrato a chi aveva sparato.

Domenico Iannone, di anni 23.

Quando parlo coi miei figli o con mia nuora, al telefono, parlo solo il finlandese. Gli amici ridono, dicono che sembra che sto male.

Su non ci vado più, non ho più voglia. Rosa va, ogni tanto, a trovare i nipoti.

Io sto qui, guardo il mare. Ho un po’ di terra per far giocare i nipoti quando vengono giù, l’estate. E nel garage ho la mia officina.

L’anno scorso finalmente ne ho comprata una, Rosa mi diceva che ero scemo, però anche lei aveva gli occhi lucidi.

L’ho rimessa a posto d’inverno, anche i sedili, neri perchè rossi non li ho trovati.

E adesso ci vado giù al mare, piano piano.

Quelli dietro, che vengono dalla città e c’hanno fretta, mi suonano e si arrabbiano.

Poi quando la strada si allarga sorpassano e mi gridano di levarmi di torno, io e la mia bella macchinetta.

Io guardo Mimmo e ridiamo.

1 commento
  1. Autologia
    Autologia dice:

    Un bel racconto, quasi poetico con un’auto protagonista. Questi Manager sanno anche raccontare delle belle storie e risvegliare sentimenti. Grazie Maurizio per questa rilassante lettura “domenicale”

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