Una bufera sul Circus della F1: e se davvero “mettessero le ali” e se ne andassero?

Siamo appena ad inizio stagione eppure si sta scatenando una bufera dalle prospettive catastrofiche sul Circus della F1. A dire il vero, era da un po’ che covava sotto la cenere e quindi non era assolutamente difficile ipotizzare che prima o poi sarebbe scoppiato tutto. Mille storie, una più inquietante dell’altra, a fare da contorno ad un sistema in evidente e inesorabile declino.

E oggi, nemmeno i più ottimisti venditori sono più in grado di trasmettere entusiasmo per un “prodotto” che oggettivamente, così com’è, non interessa più. E soprattutto non si sostiene più. Un’azienda costretta a spendere cifre improponibili per realizzare un prodotto che poi nessuno vuole più arriva inesorabilmente al fallimento.

Come dicevo prima, siamo arrivati al primo GP della stagione inciampando in una serie impressionante di disastri. Con ricadute imbarazzanti sull’immagine di questo mondo.

Un incidente tanto banale quanto inquietante, gestito nel peggiore dei modi da un sistema costretto a ricorrere all’omertà per proteggere se stesso. Un sistema che vede, da un lato, un team fornire ricostruzioni frammentarie e fantasiose dell’accaduto e, dall’altro, un pilota inondare il web di foto che lo ritraggono alle prese con allenamenti frenetici, dopo un’anomala e misteriosa reclusione in ospedale.

E ancora… un team fallito nel 2014 che decide di presentarsi ugualmente a Melbourne dopo una pseudo-riorganizzazione aziendale pur sapendo bene che le vetture non potranno mai andare in moto non essendo dotate del software specifico, semplicemente perché non pagato. Un altro team che salta due sessioni di test perché non ha più soldi e poi, insieme ad altri due squadre in crisi, viene “gratificato” di una “una-tantum” elargita con magnanimità dal buon Bernie in modo da potersi presentare all’inizio del campionato. E poi un altro team ancora, da anni in profonda crisi finanziaria, che, presumibilmente proprio perché stressato da questa emergenza, ingaggia quattro piloti (paganti) pur avendo due sole vetture. In ultimo, 15 vetture al via della gara (più o meno la metà di vent’anni fa…), due che se ne vanno in fuga solitaria e cinque sole che arrivano a pieni giri, di cui una staccata di un minuto e mezzo.

Non c’è che dire…. difficile fare peggio.

E ora, a gara finita, un GP che ancora una volta ha trasmesso poche emozioni e soprattutto nessun sorpasso, l’essenza dello spettacolo… come se non bastasse, una girandola di dichiarazioni esplosive ad alimentare l’incendio. Di chi ha perso e piagnucola. Di chi vorrebbe mandare all’aria l’impianto regolamentare da poco approvato (da tutti, non dimentichiamolo… c’erano tutti). Ma anche di chi, in qualità di organizzatore e promotore, dovrebbe semmai distribuire pillole di ottimismo, a costo di essere inverosimile.

Voglio commentare qui le dichiarazioni del team Red Bull, esternate un po’ da tutti i suoi rappresentanti. Ho letto commenti sghignazzanti di chi sottovaluta la portata di simili prese di posizione. Soprattutto dopo aver dominato per anni la scena. “Ed ora che hanno iniziato a perdere, eccoli che si lamentano…”

A parte il fatto che è abbastanza deprimente leggere o sentire dichiarazioni di questo tipo che denotano la totale assenza di una mentalità sportiva sana. Nello sport si vince e si perde. Per dipiù nel Motorsport c’è un giudice oggettivo che si chiama “cronometro”. Può dunque capitare che chi vince non sia tu. E anche che chi vince sia più bravo di te. Mi rendo conto che non sia un concetto facile da capire, ma bisognerebbe riuscirci, prima o poi…

Ma, in questo caso specifico, attenzione a non perdere di vista un aspetto fondamentale e soprattutto una storia. La Red Bull è un’azienda che è stata fondata nel 1984 da Dietrich Mateschitz per produrre e lanciare sul mercato un energy drink all’epoca innovativo. Uno stimolante energetico che si propone di migliorare la concentrazione e le prestazioni fisiche e mentali di chi lo consuma. Diventa un successo eccezionale con vendite che superano i 5 miliardi di lattine all’anno. In tutto il mondo.

L’azienda austriaca irrompe sul mercato con un approccio strategico estremamente sostenuto dal marketing, investendo da sempre circa il 30% del proprio fatturato in pubblicità. E soprattutto legando il proprio brand al mondo sportivo con particolare attenzione a discipline o eventi “estremi”. Windsurf, snowboard e manifestazioni divertenti come la “Red Bull Soap Box Race” in cui gli sfidanti si lanciano in discesa con veicoli senza motore costruiti con mezzi di fortuna e le forme più fantasiose. E poi gli sport motoristici, ovviamente. Con sponsorizzazioni pure (vedi Volkswagen WRC) oppure entrandoci in prima persona mediante acquisizioni di team e strutture, come è successo in F1 nel 2005.

E dal 2005 a oggi, il Red Bull Racing Team ha ottenuto in F1 i risultati che vedete illustrati nel grafico. Ovvero quattro Titoli Mondiali Costruttori consecutivi (e due secondi posti) e un totale di 50 GP vinti. Un crescendo inesorabile realizzato ingaggiando i migliori professionisti del settore (sia tecnici come Adrian Newey, che sportivi come Sebastian Vettel) e puntando generalmente sempre al massimo sfruttamento dei risultati sportivi per sostenere ed accrescere l’immagine estrema e vincente del brand.

Poi siamo arrivati al 2014 con la più grande rivoluzione tecnica della storia della F1. Il passaggio alle motorizzazioni ibride. Red Bull si deve per forza appoggiare ad un costruttore di motori e, in continuità con i successi mondiali, prosegue la partnership con la Renault, che però va in grande sofferenza con le nuove regole. Ne viene fuori un campionato 2014 al di sotto delle aspettative e, soprattutto, non allineato con la strategia vincente che il brand vuole trasmettere come proprio dna. Anche se, alla fine, sono gli unici a vincere qualcosa nella supremazia Mercedes. Vabbè, un anno può capitare… anzi, può far bene al marketing se poi viene seguito da una rinascita tecnica e sportiva, un’inversione di quel trend ben evidenziato nei grafici precedenti. Un’altra “impresa impossibile come solo chi consuma questo energy drink può affrontare”…

Ma il 2015 si presenta anche peggio della stagione scorsa, almeno questo è ciò che traspare dai primi responsi del cronometro. Analizzando oggettivamente i dati di Melbourne, si arriva a dimostrare che non è solo colpa della power-unit Renault. Quest’anno la vettura non è nata bene e c’è da lavorare su più fronti per venirne fuori. Ed ecco che escono le dichiarazioni esplosive del management del team (per ora Mateschitz, il padrone della Red Bull, sta zitto…)… “Se non cambiano le regole, se non si ridimensiona in qualche modo lo strapotere Mercedes, ce ne andiamo”.

Attenzione a non sottovalutare questo momento. Lo dicevo prima… è normale (anche se discutibile) che chi perde inizi a piagnucolare, mettendo sul tavolo il proprio peso politico, se ce l’ha. E’ sempre successo. Ma qui, a mio parere, non siamo solo in presenza di uno sfogo.

Torniamo un attimo alla “mission” che Red Bull si propone quando fa pubblicità. Far passare l’immagine di un brand giovane, estremo e soprattutto vincente. E la Red Bull non può permettersi di associare il proprio nome ad imprese fallimentari. Nel momento in cui, per qualsiasi ragione, il brand non ne esce più vincente, la Red Bull non ha nessun interesse a rimanere in quel settore. Tanto più se non ha interessi specifici di settore merceologico. E la Red Bull, come sappiamo bene, non produce automobili… Per cui, così come è arrivata come struttura operativa nel Circus nel 2005, può benissimo andarsene a fine anno. Senza nessuna ricaduta sul proprio brand, anzi.

A meno che non riesca a mettere in piedi un’impresa impossibile. Già, a mio parere, la Red Bull ha davanti a sé proprio una scelta “estrema”… O lascia o raddoppia.

Paradossalmente, il futuro della Red Bull in F1 può continuare efficacemente solo se raddoppia, ovvero se acquisisce le competenze per realizzarsi tutto in proprio. Anche la power-unit. Molto difficile, direi. Ma altrettanto difficile, per non dire impossibile, è trovare una soluzione diversa, ovvero un altro fornitore per la power-unit. Mercedes e Ferrari sono improponibili e Honda deve già affrontare la propria “mission impossible” di sopravvivere al disastro in cui si è cacciata. L’ipotesi Audi è affascinante ma sarebbe altrettanto delicata rappresentando un potenziale salto nel buio. E poi sarebbe una condivisione che sminuirebbe la portata dell’impresa impossibile.

Red Bull, come azienda produttrice di energy drink, ha quindi poche soluzioni vincenti davanti a sé. Ecco perché, a mio parere, è tutt’altro che irreale che, a breve, finisca la sua storia in F1. Perlomeno come attore diretto. La Storia l’ha scritta ed è stata una storia vincente. Poi, a livello strategico, potrebbe eventualmente riproporsi come main sponsor del Mondiale… chissà. Ma qui parliamo di un futuro molto prossimo. Non certo in un Mondiale di F1 come questo. In caduta libera come immagine e contenuti.

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2 commenti
  1. Giorgio Ferro
    Giorgio Ferro dice:

    Grazie mille per i complimenti, Renato. Sono d’accordo con te sul fatto che il giochino si stia rompendo anche e soprattutto per effetto della ricerca estrema del business.

  2. Renato Ronco
    Renato Ronco dice:

    Un’analisi precisa ed interessante, anzi spietata. Del resto quando il marketing spodesta lo sport c’è da aspettarsi qualunque sorpresa. Ma il primo a spostare l’asse chi è stato? Proprio lui, Ecclestone, che ha tirato troppo la corda. Ed anche Todt ha la sua buona parte di responsabilità. Adesso si trovano nelle mani un giocattolo rotto e non sarà facile aggiustarlo. Una situazione che va anche a danno della Ferrari, che ha il merito di aver accettato tanti anni bui senza mai minacciare un vero abbandono della mischia, ma che rischia di arrivare al momento del riscatto in un contesto privato del valore di quel gioiello che ha contribuito a creare nella storia: la Formula 1, la sfida pura, con il coraggio di affrontare anche avversari giganteschi.

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