A ciascuno il suo
Che dei personaggi incontrati (veri o di fantasia, di prima o di seconda fila), quando li si racconta, si dovrebbe avere rispetto, sembrerebbe ovvio: a cominciare dal non dimenticarli, o peggio, dal cancellarli. Mi trovo a pensarlo guardando – per l’ennesima volta, ma stavolta come fosse la prima – la riproduzione di una foto di un secolo fa: una dozzina di figurine piu’ o meno allineate davanti all’obiettivo, sotto la volta di un impianto industriale, in abiti che ricordano curiosamente certa moda maschile di oggi, a parte la paglietta chiara in testa alla figurina al centro, che ha l’aria di non volersi atteggiare a quel che in realta’ è ,la più importante del gruppo.
La riproduzione stava in una teca della mostra curata al Dazio Levante in piazza Sempione, da Ilaria Paci, del Centro Documentazione Storica Citroen, per celebrare, appunto, i cento anni di Citroen in Italia – e a Milano in particolare.
Mostra intelligente ed elegante, che ha posto al centro l’importanza del “savoir dire” accanto al “savoir faire”, il doppio registro che caratterizzò la parabola di Andrè Citroen: la figurina con la paglietta chiara, le mani dietro la schiena, la testa leggermente inclinata con una punta di ironia.
La creazione di filiali commerciali all’estero, poi attrezzate, se del caso, per la produzione, era strategia comune a tutte le case automobilistiche, per aggirare le leggi protezionistiche in vigore in tutti i paesi produttori. Citroen, che pensò (anche troppo) in grande dal principio alla fine, aveva appena dato il via alla conversione della sua fabbrica dagli shrapnels e affini alle automobili e si erano appena spente le note della banda che aveva salutato la consegna della prima Tipo A (era il luglio 1919) ed ecco che l’amico e collaboratore Felix Schwab era gia’ in viaggio per l’Europa – e non solo – alla ricera, per cominciare, di agenzie di rappresentanza.
È dal 1923-24 che prende il via la fondazione di vere e proprie filiali, in cui fondere – nella visione del patron – commercio, produzione e immagine. D’altronde i veicoli esportati erano gia’ 17mila nel ’24 e oltre 21mila l’anno seguente, un terzo della produzione…La prima filiale fu, nel 1923, quella di Londra, presto utilizzata anche come meta di viaggi-premio per i concessionari francesi e seguita da Bruxelles, gia’ fiorente filiale commerciale in cui apparve la catena di montaggio. Le filiali saranno tra l’altro oggetto delle cure di un servizio apposito, per quanto riguardava le loro linee architettoniche ed i loro interni, servizio che dovette avere il suo daffare, visto che nel 1924, mentre si inviavano delegazioni in America del Sud ,Vicino e Medio Oriente e naturalmente Africa (nasce la filiale di Algeri), tra settembre e ottobre fu la volta di Madrid, Ginevra, Amsterdam, Copenaghen e Milano.
E rieccoci alla fotografia: guardavo Citroen in visita all’impianto di Milano, alla sala di assemblaggio, dove si sarebbe arrivati ad una potenzialità di trenta veicoli al giorno, prima che l’autarchia mussoliniana e la catastrofe personale e societaria del patron ponessero fine, con molte altre cose, all’ esperienza produttiva italiana.
Una foto probabilmente del ’25: pare di riconoscere li’ accanto a Citroen, l’alta figura di Haardt, amico di vecchissima data e direttore generale: se l’anno è quello, probabilmente avrebbero proseguito per Roma, o ne tornavano, ma questa è un’altra storia….E comunque penso che nella mia prefazione alla prima edizione della biografia di Citroen scritta da Jacques Wolgensinger, mi era piaciuto immaginare che l’atto precedente la fondazione della filiale, l’acquisto da Nicola Romeo del terreno comprendente un impianto ex Isotta Fraschini che sarebbe divenuto la filiale, fosse stato firmato dai due patron, seduti uno di fronte all’altro.
In realta’ l’eroe di quel tour de force burocratico e ferroviario, tra settembre e ottobre del’24, fu tale Ernest Jodry, segretario amministrativo, onnipresente ma invisibile, assente dalle grandi cronache aziendali, che tra ’24 e ’25 vedevano (tra le altre cose,a proposito di “savoir dire”) la traversata dell’Africa compiuta dagli autocingolati e diretta da Haardt e la Torre Eiffel illuminata con la scritta Citroen a cura del fiorentino Jacopozzi. Jodry quasi certamente si occupo’ anche dell’acquisto del terreno, sbarcando a Milano nei giorni dell’assassinio fascista di Giacomo Matteotti, ma di cosa pensasse di quell’Italia, come di tante altre cose, non e’ dato sapere. E’ certo che Jodry faceva gia’ parte del gruppo che Citroen aveva riunito attorno a sé gia’ nel 1908, ai tempi del salvataggio della Mors, marca di prestigio in difficoltà: Guillot, Haardt, Schwab, Vavon, la mitica segrtaria Jeunote Jodry, responsabile delle forniture, prelevato da una fabbrica di ..chiodi, figlio di un poliziotto, giovanotto “molto minuzioso e di estrema onestà”. Con quasi tutti gli altri sarebbe passato poi dagli ingranaggi, agli shrapnels e infine alle automobili, sempre efficiente e discreto. E’ perciò probabile che in quella fotografia neanche ci fosse, rimasto a Parigi tra carte tribunali, studi notarili e contabilita’ varie ,tutte faccende che Citroen non amava affatto: ma stavolta mi piace pensare il contrario ,che sia una di quelle figurine, stavolta presente. Una sorta di risarcimento: a ciascuno il suo.
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