Mercato europeo fermo fino al 2030, con CO₂ sopra i livelli del 2015
Dazi USA e stagnazione globale mettono in allarme l’industria. In Italia vola l’usato, ma il parco auto invecchia. L’elettrico non convince e le emissioni non calano
Il motore dell’automotive mondiale sbuffa, tossisce e inizia a perdere colpi. Dopo vent’anni di corsa inarrestabile, l’industria dell’auto entra in una fase di stagnazione strutturale, schiacciata tra nuove tensioni geopolitiche, la debolezza della domanda e una transizione elettrica ancora troppo incerta.
È quanto emerge dal nuovo rapporto di ANIASA e Bain & Company, intitolato emblematicamente “Navigare nella nebbia. Il futuro incerto dell’automotive”. Un’analisi che fotografa senza sconti uno scenario globale segnato dal rallentamento economico, dallo spettro dei dazi e da consumatori sempre più disorientati.
Secondo le proiezioni, da qui al 2030 il mercato europeo dell’auto perderà altri colpi, con una decrescita del -0,6% annuo. Un crollo che porterà a un buco da 15 milioni di veicoli rispetto alle previsioni fatte appena due anni fa. Nord America non se la passa meglio: -7,5 milioni di unità rispetto alle attese.
La Cina – un tempo locomotiva mondiale – si ferma a un modesto +0,3%, mentre a brillare sono solo Sud America (+1,5%) e Asia meridionale (+2,7%). Nuovi protagonisti avanzano, mentre le economie mature si scoprono fragili.
Nel frattempo, il panorama geopolitico aggiunge tensione alla crisi industriale. Gli Stati Uniti spingono sull’uso dei dazi come arma economica per rilanciare la produzione interna. A farne le spese potrebbero essere proprio i colossi tedeschi, esposti contemporaneamente alla crisi europea, al rallentamento cinese e alle barriere commerciali americane.
Alcuni marchi asiatici – come Toyota, Hyundai e Kia – sono già corsi ai ripari delocalizzando parte della produzione negli USA. Le case cinesi sono praticamente assenti dal mercato americano e per loro, pertanto, i dazi sono un colpo a salve.
Intanto, l’industria USA cerca di rialzarsi dopo un declino lungo decenni: tra il 1947 e il 2023, l’occupazione manifatturiera è crollata dal 30% all’8%, e il peso dell’industria sul PIL è passato dal 25% al 10%. In parallelo, la Cina è diventata il cuore pulsante della produzione mondiale, controllando nel 2023 oltre la metà dell’output globale di acciaio e navi.
Nel nostro Paese la mobilità resta ancorata all’auto privata, ma non alla vettura nuova. A trainare il mercato è l’usato, alimentato da una combinazione letale: prezzi in salita, normative opache e incertezza sull’elettrico. Il risultato è un parco circolante sempre più vecchio.
Nel primo trimestre del 2025, le ibride conquistano metà del mercato, mentre le elettriche pure (BEV) restano inchiodate al 5%, con picchi negativi nel Sud e tra i privati. A fare da freno sono prezzi ancora elevati e un’offerta che forza la domanda, più che seguirla.
Il diesel è ormai un ricordo, ma il calo delle emissioni non arriva: la CO₂ media resta oltre i 115 g/km, peggio del 2015. A livello europeo, nonostante gli sforzi sulle infrastrutture di ricarica, la quota di auto elettriche non cresce da tre anni. È la conferma che la transizione ecologica è tutt’altro che acquisita.
“La frammentazione dell’offerta, la scarsa saturazione degli impianti e l’assenza di una visione strategica comune – ha dichiarato Alberto Viano, presidente ANIASA – stanno minando la competitività dell’industria europea. Il comparto deve cambiare rotta. Subito”.
Più netto ancora Gianluca Di Loreto, partner Bain & Company: “Il settore automotive non può più contare sulla crescita automatica. Solo chi ripenserà la propria presenza geografica, ristrutturerà la catena del valore e punterà sulla flessibilità potrà sopravvivere”.
In altre parole, l’epoca delle certezze è finita.
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