Flaminio Bertoni nella Hall of Fame della FIVA

In occasione dell’edizione 2025 di Auto e Moto d’epoca, a Bologna, dal 23 al 26 ottobre scorsi, la  Federation Internationale des Veicules Anciens (FIVA) ha annunciato l’entrata di Flaminio Bertoni nella propria  Hall of Fame. La candidatura era stata sostenuta dall’ASI. Il riconoscimento,  denominato Heritage of Fame 2025,  è stato consegnato al nipote Moreno ed ai rappresentanti dell’Associazione Flaminio Bertoni, che cura fra l’altro il padiglione a lui dedicato al Parco – Museo di Volandia.

Così, dalle note ufficiali e dagli articoli apparsi: cosa ne avrebbe detto Bertoni, fumantino come era, non è ovviamente dato sapere, ma lo si può arguire anche dal tono di certe sue lettere all’azienda, Citroen,  per cui lavorò per quasi tutta la vita. Da esse traspare la sofferta condizione di anonimato in cui all’epoca – Bertoni operò tra gli anni ’30 e gli anni  ’60 del 900 – era relegato, come tutti i designers del mondo dell’automobile: che non  a caso, Roland Barthes definì, nel suo saggio sulla Citroen DS, i nuovi, sconosciuti e moderni costruttori di cattedrali. Diremo noi, al posto di Bertoni, con il massimo understatement, che era ora, se si pensa solo allo spessore del personaggio ed al suo ingegno a dir poco poliedrico.

Flaminio Bertoni definì infatti la sua idea della natura e dei compiti dello stilista dell’automobile con queste parole: “è il mestiere più completo, più arduo, più appassionante. Si estende dalla filosofia all’impastare gesso, passando per quasi tutti i settori dell’attività umana”. E aggiunse che  quel “mestiere”, nella progettazione di un modello, svolgeva un ruolo centrale, “per 3/5 dell’insieme”. Insomma, una concezione demiurgica e rinascimentale, che si adatta perfettamente alla  figura di Bertoni stesso, che fu designer ma anche scultore e pittore, architetto e inventore, con indubbie influenze reciproche tra queste sue “anime”. La sua formazione risale agli Anni Venti del ‘900, che lo vedono già modellare lamiere presso la Carrozzeria  Macchi di Varese (era nato nel 1903 a Masnago)  e studiare contemporaneamente scultura e pittura  presso artisti come  Giuseppe Talamoni, ed Enrico Butti, autore quest’ultimo del famoso monumento al Guerriero di Legnano.

Bertoni, alla loro scuola, apprende a percorrere le vie della ricerca della bellezza classica: non a caso, accanto ai maestri italiani, suoi riferimenti costanti saranno Rodin e Maillol, i grandi del primo ‘900 conosciuti direttamente nel primo soggiorno parigino. Le Avanguardie degli Anni Venti sembrano invece aver avuto qualche influenza sulla sua attività di designer industriale e inventore, in particolare con il loro utilizzo di nuovi materiali e la ricerca di soluzioni originali. Dopo la prima esperienza parigina presso Citroen, che aveva arricchito le sue conoscenze tecniche, Bertoni rientrò a Varese, di nuovo presso Macchi, aprendo anche uno studio di scultura e disegno frequentato dagli artisti locali . Tra la fine degli Anni Venti e il ritorno a Parigi nel 1931, si collocano le prime partecipazioni a esposizioni artistiche romane e varesine e l’amicizia con un altro artista classico, Ludovico Pogliaghi, autore tra l’altro della porta centrale del Duomo di Milano. Quando Bertoni entra di nuovo, e definitivamente, in Citroen, nel 1932, ha probabilmente già raggiunto la visione che darà vita ai suoi capolavori stilistici: “non vedo differenze tra scolpire e disegnare carrozzerie. Tutto ciò che è volume è scultura. La carrozzeria ha un volume”. Due anni dopo, la Traction Avant – non a caso scolpita in una “maquette” presentata ad André Citroen – tradurrà in forme e volumi le soluzioni tecniche e aerodinamiche ideate da André Lefébvre, con una corrispondenza tra tecnica e forma che diviene  cifra stilistica.  Bertoni si misurò infatti costantemente con i limiti posti dalle esigenze tecniche, industriali e di mercato di un grande costruttore come Citroen. “Non si può separare la tecnica dalla forma (…) l’ispirazione si deve sottomettere all’implacabilità della tecnica” e lo stilista deve conoscere le problematiche dell’ingegnere come la potenzialità degli strumenti di produzione della fabbrica. Bertoni saprà trovare di volta in volta un punto di sintesi superiore, traghettando, con altri pochi suoi contemporanei, l’automobile dalla sua età “eroica” a quella “moderna”. A partire dal 1936, e fino al 1964, prende anche il  via la sua partecipazione ininterrotta al Salone degli Indipendenti di Parigi, ed al Salone degli Artisti Francesi, ed a quello dell’Arte Libera….Sono inoltre gli anni dei molti brevetti, automobilistici e non, ai quali si aggiungeranno gli studi di architettura, dopo la laurea  conseguita nel 1949.

Tra il 1936 ed il 1948, in un arco di tempo dilatato dalla guerra mondiale, si alloca la nascita della 2CV, un mito che sarebbe stato prodotto in più di cinque milioni di esemplari. Se la Traction, all’atto della sua apparizione era la vettura più avanzata tecnicamente e stilisticamente, la 2CV porta Citroen nella società di massa, proponendo, con la sua forma “a uovo”, abitabilità, confort e razionalità: per tutti. Le forme che Bertoni conferì alla 2CV, nel 1948, lavorando sul prototipo messo a punto nel 1936 dall’Ufficio Studi, quelle forme, insieme alle sue caratteristiche tecniche, ne fecero molto presto e molto a lungo un oggetto fuori dal tempo, in grado di “imporre la moda e non subirla”, come disse Bertoni stesso, mentre continuava a scolpire, dipingere, disegnare. E inventare: brevetti di ogni tipo, ma anche  soluzioni stilistiche e utilizzo di nuovi materiali, come per il primo cruscotto della DS in nylon. Senza contare i progetti architettonici . Nel ’53 ottiene il primo premio al Salone Internazionale delle Arti Decorative con un disegno di nudo ispirato a Maillol che, insieme alla serie “Negresse” (nudi di una donna di colore), conferma la sua fedeltà alla tematica della ricerca della bellezza “classica”. E sempre del ’53 è la “Danseuse”, scultura di danzatrice in filo di ottone e legno, dedicata a Lucienne, compagna di Bertoni e ballerina all’Opéra: sorretta da un unico punto di appoggio, la scultura vibra (danza!) al minimo tocco… “questa soluzione essenziale mantiene la ricerca figurativa che si ritrova anche in alcuni disegni realizzati da Flaminio Bertoni, dove la figura emerge dal fondo grazie  ad un’unica sottile linea che segna il contorno e il ritratto”. (E. La Rosa) Sono gli anni in cui Bertoni definisce lo stile della DS, il capolavoro che racchiuderà in una linea stupefacente undici brevetti  esclusivi, anticipando idee e soluzioni che spesso diverranno patrimonio comune del mondo dell’automobile solo vent’anni dopo. La Triennale di Milano del 1957, diretta da Giò Ponti, riconoscerà nel design della DS l’incarnazione della modernità esponendo la creazione di Bertoni. Che fu insignito  nel 1961 del titolo di Cavaliere delle Arti e dei Mestieri da André Malraux. Nello stesso anno appare l’ultimo, discusso modello, quell’Ami 6 che non rinuncia tuttavia  a cercare strade nuove pur nei limiti posti dalle esigenze industrial i e commerciali del momento.

Bertoni morirà nel 1964, non senza aver messo mano ad altri prototipi ( ed anche ai veicoli industriali) mantenendo fino alla fine la sua coerenza creativa sul filo tra tecnica e forma.

 

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