Adieu, madame
Un giorno dell’agosto scorso, mentre scorrevo i profili dei vecchi colleghi di altri Paesi, rimbalzò da uno di essi la notizia che madame Cotton se ne era andata, novantenne.
Mi piacque immaginare che lo avesse fatto con una smorfia di disprezzo per la malattia che la seccava – non è una parola scelta a caso – da tempo.
Quel suo tono tra sprezzante e ironico l’avevo risentito per l’ultima volta in una telefonata che ci eravamo scambiati qualche anno fa.
Nonostante la voce un po’ meno ferma, era sempre lei, la prima donna – e finora l’ultima – a essere stata ai vertici, per un ventennio, del servizio competizioni di una grande marca come Citroën.
In un mondo a dir poco maschile, quindi – si era negli anni Sessanta-Settanta del Novecento – e in una azienda il cui padre fondatore aveva poco o nulla amato le competizioni classiche, preferendo i grandi raid africani e asiatici dei suoi autocingolati, o i record in pista di un prototipo dal vezzoso nome di Rosalie.
Avventure che meglio si sposavano con i suoi obiettivi commerciali – e di comunicazione.
Sarebbero seguiti il passaggio dell’azienda a Michelin, la ristrutturazione, guerra, dopoguerra e ricostruzione, fino all’apparizione nel 1955 della DS e due anni dopo dell’ID, con un allestimento più “economico” ma con caratteristiche tecniche ed estetiche sostanzialmente identiche.
Caratteristiche comunque non ritenute adatte all’impegno sportivo: non nel rally (nel 1953 era nato il campionato europeo) nétantomeno in pista. E comunque l’auto disegnata da Flaminio Bertoni aveva altri orizzonti:.
“Lusso, calma e voluttà” avrebbe decretato Jacques Wolgensinger, direttore della comunicazione, saccheggiando Baudelaire. Comunque “Wolgen” era lì, nel 1959, quando una delle tante scuderie francesi – dai piloti spesso dilettanti, sia pure di lusso – l’Ecurie Paris, diretta da Renè Cotton, già pilota egli stesso, portò alla vittoria a Monte Carlo la ID guidata da Paul Coltelloni, imprenditore: l’auto era di sua moglie.
Per la cronaca Coltelloni ricevette il trofeo da Grace Kelly (che tempi) e alla fine dell’anno si aggiudicò il titolo europeo.
L’opinione ai piani alti di quai de Javel cambiò: Cotton fu incaricato di organizzare una squadra corse ufficiale e Wolgen, che amava le frasi icastiche, per parte sua aveva già sentenziato “l’image de marque doit être une image qui marque” e lo sport era un ottimo argomento per inverare la sentenza.
La vita poi, è spesso fatta di incontri: nel 1960 Cotton conosce a una premiazione una giovane e affascinante pilota, che si era fatta notare alla 24 Ore di Le Mans, Marlène Carmen Jeanne Berenfeld, che due anni dopo diverrà madame Cotton ma, da subito, è l’alter ego del direttore del nuovo servizio competizioni Citroën.
Si apre così un decennio di vittorie in giro per l’Europa e il mondo, con le DS di Bianchi, Trautmann, Toivonen, Romaozinho, Neyret, Verrier…
Ma nel 1971, anno in cui Deschaseaux vince in Marocco sulla nuova SM, la malattia che lo inseguiva da tempo si porta via Renè Cotton. E Marlène prende del tutto naturalmente il suo posto.
“È arrivato un generale”, pare dicessero meccanici e piloti. E probabilmente serviva qualcuno del genere, in una fase di alleanze temporanee (con Fiat), di rinnovo della gamma, di acquisizioni (Maserati…), che si incrociò con la prima grande crisi petrolifera e, per la marca, culminò nel 1974 con l’acquisizione da parte di Peugeot, pur conservando l’autonomia di immagine dei due marchi in un difficile ma duraturo equilibrio.
Nel mondo del rally i nuovi regolamenti segnarono il passaggio dalle vetture più vicine alla serie dell’epoca d’oro, a vetture costruite per la competizione.
La stella sportiva della DS declinava e SM, per peso e dimensioni, si rivelava poco adatta ai percorsi rallistici europei. Meglio le piste africane, come si era visto in Marocco.
Ma soprattutto, in quegli stessi anni, si saldò una collaborazione tra direzione della comunicazione e servizio competizioni che pose al centro l’altro modello eponimo della marca, la 2Cv, consolidando una linea di immagine che avrebbe attraversato indenne le burrasche a venire.
Nel primo quinquennio dei Settanta Wolgen e madame Cotton organizzarono i raid Parigi-Kabul-Parigi e Parigi-Persepoli, il Raid Afrique e il campionato europeo 2CvCross che videro centinaia di ragazzi ripetere sulla 2Cv le avventure dei raid degli anni Venti e Trenta. Comunicazione e ferrea organizzazione che crebbero di pari passo – la vita è fatta di incontri – con il rapporto personale tra Wolgen e Marlène Cotton, con il codazzo di chiacchere che otteneva solo un gelido mezzo sorriso di madame e l’ennesima sigaretta di Wolgen.
Quando li incontrai per la prima volta, in una di quelle riunioni europee che Wolgen trasformava in messe cantate laiche, erano ormai due miti.
Sedevano accanto, niente fogli, il solito taccuino di Wolgen e madame che con naturalezza estraeva dalla borsetta un pacchetto di sigarette nuovo e lo preparava già aperto davanti a Wolgen, che vi avrebbe pescato per tutto il tempo…
Seguivano lunghe conversazioni a tavola, con le quali si rinsaldava la struttura europea che Wolgen aveva creato dandole un’autonomia da stato nello stato (si mormorava nei corridoi e non solo).
Intanto, con la nuova Cx madame Cotton aveva già verificato alla fine del 1975, nel rally-raid Abidjan-Nizza, una vocazione africana che avrebbe portato a tre vittorie consecutive nel rally del Senegal e a brillanti piazzamenti assoluti in Marocco, ma anche al 1000 pistes, all’Acropoli e nella Londra-Sidney, con Deshaseaux, Luc e un giovane Henri Toivonen.
Erano gli ultimi fuochi di “quel” servizio competizioni: gli equilibri interni del gruppo in materia di competizioni erano cambiati. Silenziosamente, madame Cotton era divenuta madame Cotton-Wolgensinger quantomeno all’anagrafe, ma restavano sempre madame Cotton e Wolgen, due monumenti ingombranti: la salute di Wolgen, ufficialmente, spinse al ritiro di entrambi, nei primi anni Ottanta.
Qualche anno dopo invitai Wolgen a presentare a Milano la sua biografia di Andrè Citroën.
Nella cena che seguì conversai tutta la sera con madame Cotton, che non risparmiò osservazioni agrodolci (e istruttive) sul passato e il presente della marca e delle competizioni, insieme con ironici aneddoti, senza perdere d’occhio Wolgen, che amabilmente e ininterrottamente intratteneva gli astanti con tutte le storie su Citroën che non avevano trovato posto nel libro.
Le sigarette erano scomparse da quando, mi raccontò madame, suo marito (era la prima volta che la sentivo usare quella parola) si era sentito male durante un pranzo di lavoro e all’ospedale ce lo aveva portato lei, attraversando il centro di Parigi a tutta velocità, bruciando semafori e montando su qualche marciapiede, altro che rally…
Mi guardò con il noto sorriso e capii appieno lo spessore della dedica di Wolgen in apertura del suo libro: “A Marlène, in memoria del nostro incontro e della nostra vita sotto il segno di Citroën”.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!