SALUTE – Il mistero dei tassisti, che si ammalano meno di Alzheimer

Statisticamente, secondo diversi studi, è la professione che sembra tenere più alla larga la temibile malattia degenerativa. Tutto dipenderebbe dagli sforzi di concentrazione nel traffico, che rendono più robusto l’ippocampo

Altissimi livelli di stress, lunghe ore seduti, problemi alla schiena: i rischi dei tassisti, che poi sono quelli dell’intera categoria dei “conducenti”, sono ben noti. Ma alla scienza sfugge da anni un dato misterioso che Perry Wilson, professore associato di medicina e salute pubblica all’Università di Yale, ha deciso di affrontare una volta per tutte.

Statisticamente, pare che i tassisti – in particolare – abbiano molte meno probabilità di sviluppare l’Alzheimer, malattia neurodegenerativa progressiva in forte aumento di casi che, secondo le previsioni, nel 2030 potrebbe colpire più di 78 milioni di persone in tutto il mondo.

Per chiarire la sua ipotesi, il professor Wilson deve prima partire con un minimo di spiegazioni sull’ippocampo, la zona del cervello che agli antichi anatomisti ricordava un cavalluccio marino, una sorta di laboratorio fotografico dove i ricordi passano dalla fase a breve termine alla memoria lunga. “L’altra funzione principale dell’ippocampo è quella di formare memorie spaziali, la nostra capacità di navigare in modo complesso. E l’ippocampo è indissolubilmente legato all’Alzheimer: è la prima struttura cerebrale che inizia a deteriorarsi nella malattia, portando ai primi sintomi caratteristici: scarsa memoria e disorientamento spaziale”.

L’importanza delle funzioni dell’ippocampo è utile per meglio capire i risultati di uno studio scientifico – risalente al 2000 – realizzato su 16 tassisti londinesi, maschi e destrimani e in contemporanea su altri 50 volontari appartenenti a categorie professionali diverse. Sottoposti a risonanza magnetica per dare una scansione del cervello, i tassisti mostravano la zona dell’ippocampo decisamente più sviluppata rispetto agli altri.

Ora, secondo il professor Wilson, la difficoltà mentale di immergersi ogni giorno nel traffico caotico di Londra, nel tempo aveva costretto l’ippocampo dei tassisti agli straordinari, rendendolo più “robusto”. Da qui l’ipotesi – per adesso una suggestione – secondo cui mantenere l’ippocampo in efficienza terrebbe lontano l’Alzheimer.

Alla teoria, un gruppo composto da quattro scienziati ha voluto dedicare più di recente un altro studio, i cui risultati sono apparsi sulla rivista medico-scientifica “The BMJ” (British Medical Journal). “A differenza del piccolissimo studio sulla risonanza magnetica, questo realizzato dai ricercatori del Massachussetts General Hospital di Boston, è stato enorme e coinvolgeva 8.972.221 individui con un dettaglio in comune: la data di morte negli Stati Uniti compresa tra il 1° gennaio 2020 e il 31 dicembre 2022, e tutti con l’occupazione indicata sul certificato di morte. Gli autori hanno preso in esame 443 professioni e calcolato quale percentuale di persone per ciascuna è morta a causa dell’Alzheimer. Il totale di morti a causa della malattia riguardava 348.328 casi, pari al 3,88%, ma di questi solo l’1,03% erano tassisti, e il dato scendeva ancora (0,74%) per gli autisti delle ambulanze. Curiosamente, non risultato protetti individui che svolgono altre professioni legate ai trasporti come i conducenti di autobuse i piloti di aerei, costretti a percorsi e rotte prestabilite che richiedono meno sforzi di adattamento da parte dell’ippocampo.

La conclusione a cui sono arrivati gli studiosi è che tassisti e autisti di ambulanze muoiono meno di Alzheimer poiché svolgono mestieri che più di altri coinvolgono la navigazione frequente e l’elaborazione spaziale. Sia chiaro: al momento non possibile affermare con certezza che esista un nesso causa-effetto fra professioni e malattia, ma scientificamente è stato comunque aperto un sentiero che potrebbe portare a sviluppi interessanti.

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