Stellantis ferma sei stabilimenti in Europa

Un silenzio pesante cala su alcune delle fabbriche automobilistiche europee più strategiche.

Stellantis ha annunciato una serie di fermi produttivi temporanei in sei stabilimenti europei. Una decisione che non è una sorpresa, ma un sintomo allarmante di un mercato alle prese con contrazioni improvvise e incertezze profonde.

A partire da oggi, 29 settembre 2025, lo stabilimento di Pomigliano d’Arco (Italia) sospenderà la produzione della Fiat Panda fino al 6 ottobre, mentre la linea dell’Alfa Romeo Tonale resterà ferma fino al 10 ottobre. Anche Mirafiori, impianto chiave per la Fiat 500 elettrica, è coinvolto da un fermo.

All’estero, le chiusure riguardano:

  • Poissy (Francia), per circa tre settimane nel periodo 13–31 ottobre, con circa 2.000 dipendenti interessati.

  • Eisenach (Germania), dove la produzione del SUV Opel Grandland sarà sospesa per alcuni giorni (1–2 ottobre) Tychy (Polonia), con una chiusura programmata (circa 8 giorni)

  • Saragozza e Madrid (Spagna), con fermi variabili (rispettivamente 5 e 14 giorni)

Nel complesso, stiamo parlando di molte decine di giorni-uomo persi, con parziale ricorso alla cassa integrazione. L’obiettivo dichiarato dell’azienda è “allineare il ritmo produttivo a un mercato difficile e gestire in modo efficiente le scorte entro fine anno”. In sostanza, evitare un accumulo incontrollato di vetture invendute.

Se un fermo momentaneo può essere giustificato come misura tattica, le ragioni che lo rendono necessario parlano di sfide strutturali.

Il calo della domanda su modelli chiave: la domanda per la Panda è in flessione anche nel mercato italiano, e la Tonale fatica a decollare. Al contempo, modelli di DS, Opel, Citroën e altri marchi del gruppo registrano volumi in ribasso. Secondo dati raccolti da Stellantis e associazioni di settore, tra gennaio e luglio 2025 i volumi in Europa sono diminuiti quasi del 9,9 % rispetto al periodo precedente.

L’eccesso di scorte e pressione sui dealer è un’altra ragione: produrre oggi senza assicurarsi che i veicoli trovino acquirenti significa generare costi (finanziari, logistici, assicurativi) che erodono la redditività.

La sfida della transizione energetica, anche i modelli elettrici soffrono: la Fiat 500e ha già sperimentato fermi produttivi in passato per mancanza di ordini attesi. Inoltre, la struttura europea dell’auto dipende fortemente da fornitori extra-UE per componentistica critica come batterie e chip — una vulnerabilità sistemica analizzata anche da studi accademici sul comparto europeo.

La concorrenza cinese e le tensioni commerciali accrescono la crisi. I marchi cinesi (per esempio la BYD) stanno guadagnando quote con modelli competitivi nei prezzi e tecnologie emergenti. Inoltre, i dazi (in particolare verso gli USA) colpiscono i margini delle esportazioni e alterano i costi delle catene globali.

Infine, la capacità sovradimensionate e le inefficienze produttive sono un’ulteriore aspetto da considerare. Secondo dati di settore, gli stabilimenti ex FCA in Europa opererebbero mediamente al 55% della loro capacità, mentre quelli PSA al 68%. Ciò significa margini di flessibilità, ma anche alto costo fisso che deve essere ammortizzato su volumi inferiori.

In Italia, tra il 2020 e il 2024, Stellantis ha tagliato quasi 10mila posti di lavoro, mentre la produzione nazionale si è più che dimezzata rispetto ai picchi del passato.

Da un punto di vista umano e sociale, i fermi implicano inevitabili tensioni con i lavoratori come cassa integrazione, incertezza, rischio di riduzione di turni. I sindacati, da parte loro, chiedono contromisure e garanzie.

La reputazione del gruppo è messa alla prova: è difficile conciliare l’immagine di marchi iconici come Fiat, Alfa Romeo, Peugeot o Opel con la fragilità strutturale che questi stop mostrano.

In prospettiva, se le chiusure dovessero protrarsi o ripetersi, il rischio è di indebolimento dei vincoli regionali con rischio di delocalizzazioni: già oggi si parla di spostamenti verso Marocco, Algeria o altri Paesi dove i costi industriali sono più bassi.

Il fenomeno dei fermi produttivi non è isolato. Anche Volkswagen ha ridotto le sue previsioni per il 2025 e annunciato chiusure temporanee, in parallelo a una revisione dei piani sul fronte EV.

Stellantis ha inoltre registrato un netto passivo di 2,3 miliardi nel primo semestre 2025, e affronta la pressione di un nuovo CFO dimissionario. Questi segnali suggeriscono che le difficoltà non siano solo legate a fattori contingenti, ma stiano segnando una fase di transizione (e di stress) sistemico per l’intero comparto europeo.

L’Europa dell’auto si trova dunque in una sorta di “terra di mezzo”: la mobilità sta cambiando, ma i modelli industriali e finanziari faticheranno a cambiare con la stessa rapidità.
Se il passaggio all’elettrico e alla sostenibilità è indispensabile, per le aziende rimane la sfida di rimanere vive,  e competitive, nel mentre.

Ecco allora la domanda che dovremmo porci come osservatori, appassionati e soggetti del sistema: può l’industria automobilistica europea trasformarsi in tempo senza perdere pezzi lungo la strada (territori, competenze, lavoro) o stiamo assistendo all’inizio di una ridefinizione drastica degli attori del settore?

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