USA – Il ritorno di Donald e delle sue auto (che non guida)

Donald non guida da anni, e non perché non ne sia capace, ma per una curiosa legge federale che impone di annullare la licenza di guida a presidenti ed ex, la cui esistenza fino al trapasso finale passa sotto il controllo dei servizi segreti, che preferiscono limitare i danni e garantire l’ordine pubblico.

Eppure, malgrado Donald Trump – 47esimo presidente degli Stati Uniti d’America, il più anziano e il primo condannato della storia – abbia una ben nota predilezione per i grattacieli, specie quelli che portano il suo nome, non ha mai nascosto di nutrire una forte passione anche per i motori, garantendosi un garage di pezzi unici e rarissimi, sufficienti a creare un paio di musei. Una passione effimera, fatta più di senso del possesso che di vera conoscenza tecnica dei bolidi che racchiude in garage, ma forte quanto basta per garantirsi un’infilata di status-symbol su ruote, con l’aggiunta di un Tesla “Cybertruck”, il pick-up che è il vanto del suo amico Elon, probabilmente accolto nella collezione più per questioni diplomatiche che per vero innamoramento, serigrafato per l’occasione con le celebri immagini dell’attentato subito il 14 luglio dello scorso anno, a cui Trump era scampato proclamandosi salvo per intercessione divina e chiaro messaggio per colui che è stato chiamato a salvare l’America e – nel caso gli avanzasse tempo – il resto del mondo.

Ma come ogni miliardario americano che si rispetti, Trump ha sempre avuto una profonda passione per le “Cadillac”, marchio di lusso del gruppo “GM” che deve il proprio nome all’omonimo esploratore e ufficiale francese fondatore di “Ville d’Etroit”, destinata a diventare Detroit, futura capitale mondiale dei motori. Negli anni Ottanta, quando Trump era un semplice “palazzinaro” newyorkese senza velleità politiche, il prestigioso marchio aveva collaborato direttamente con il futuro presidente per dare i contorni ad una serie di lusso, chiamata “Trump Golden Series”. Inutile dire che gli unici due esemplari realizzati, sui 50 complessivi preventivati e invenduti, erano finiti entrambi nel garage privato di Donald (uno per sé stesso e un per il padre), dotati di quelli che allora erano il massimo della tecnologia possibile & sognabile, ma che oggi fanno quasi tenerezza: tv di bordo con videoregistratore Vhs, fax, sistema distruggi-documenti, minibar, tre telefoni.

Ma a New York si ricordano ancora quando un paio di dipendenti Mercedes avevano consegnato davanti all’ingresso della “Trump Tower” una Mercedes “SRL McLaren”, pensierino natalizio per Melania, terza moglie in ordine di apparizione e senza dubbio la più scontrosa. Un oggettino da 5,8 cc, con 625 CV e potenza sufficiente per arrivare a 350 km/h, utile per portare il figlio a scuola fermandosi al supermercato sulla strada del ritorno, giusto per dare un’occhiata alle offerte della settimana e alla fiera del bianco.

Ma non è l’unica tedesca ad aver accolto le sacre pudenda della coppia presidenziale, che per un breve periodo aveva scelto come auto di rappresentanza ufficiale un’altrettanto modesta Maybach “S600” in versione “Guard”, ovvero blindata fino al midollo. Quand’era decisamente più giovane, ma già assaporava a mani basse il piacere dei denari, Donald amava spostarsi sui sedili ampi, comodi e soffici di una Rolls-Royce “Silver Clouds” d’epoca, risalente al 1956 e sostituita in anni più recenti da una “Phantom”, sempre prodotta dall’impeccabile marchio anglosassone, ovviamente nella versione allungata da 5,84 metri.

Ma come accennato, nel giardino d’infanzia del presidente arancionato non manca (o non è mancata) una forte componente italiana, a cominciare da una Lamborghini “Diablo VT Roadster” del 1997 e una Ferrari “F430” con cambio automatico F1, entrambe finite all’asta con tanto di targhette commemorative per ricordare l’illustre proprietario.

Per arrivare ai giorni della sua prima presidenza, quando l’auto ufficiale della famigliola diventa un’intera flotta di Cadillac Limousine blindate, con portiere, finestrini, rivestimenti e gommatura in grado di resistere ad un plotone di fanteria incacchiato. La sua, una variante del concept “Escala”, quella su cui si accomodava insieme alla First Lady, era conosciuta come “The Beast”, la bestia. Ma non è mai stato chiarito a chi fosse riferito il soprannome.

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