INNOVAZIONE – Il grande sogno (infranto) delle auto a idrogeno

Le auto a idrogeno hanno perso la gara contro le auto elettriche a causa della mancanza di infrastrutture e investimenti. Oggi il sogno dell’idrogeno sembra destinato a restare nel dimenticatoio, lasciando spazio alle elettriche

C’era una volta un sogno ecologico, un’auto che emetteva solo vapore acqueo, garantiva un’autonomia paragonabile a quella dei veicoli a combustione e si riforniva in pochi minuti. L’auto a idrogeno sembrava la soluzione perfetta per un futuro senza emissioni, un ponte tra l’efficienza delle auto elettriche e la praticità della benzina. Ma oggi, di quel sogno, resta solo qualche sparuto esemplare su strada e una manciata di distributori chiusi.

La promessa dell’idrogeno

Le auto a celle a combustibile, alimentate da una reazione chimica tra idrogeno e ossigeno, sono state considerate a lungo la chiave per una mobilità davvero sostenibile. Il Regno Unito, per esempio, ci ha creduto abbastanza da investire 2 milioni di sterline nel 2016 per promuoverne l’adozione tra le imprese. L’Unione Europea ha persino stabilito l’obbligo di avere una stazione di rifornimento a idrogeno ogni 100 km lungo le principali arterie stradali.

Sulla carta, il progetto sembrava perfetto: le case automobilistiche avrebbero potuto vendere auto più ecologiche senza sacrificare l’esperienza di guida tradizionale, mentre le compagnie petrolifere avrebbero potuto riconvertire i loro impianti per produrre e distribuire idrogeno. Eppure, nonostante questi sforzi, le auto a idrogeno hanno perso la gara con le elettriche.

E poi arrivarono le elettriche…

Nel 2021, Toyota e Hyundai – le uniche due case automobilistiche a produrre auto a idrogeno per il mercato britannico – hanno venduto appena 12 veicoli in tutto il Regno Unito. Nello stesso anno, le vendite di auto elettriche nel paese hanno raggiunto quota 190 mila. Shell ha chiuso tutte le sue stazioni di rifornimento a idrogeno nel Regno Unito, sancendo di fatto la fine del sogno dell’idrogeno.

Eppure, le auto elettriche non sono perfette. Hanno un’autonomia inferiore rispetto a quelle a idrogeno e il rifornimento – anzi, la ricarica – richiede più tempo. Ma allora perché hanno vinto la sfida?

Una questione di infrastrutture

La risposta sta tutta nelle infrastrutture. Quando due tecnologie competono, non sempre vince la più avanzata: vince quella più accessibile. È già successo negli anni Ottanta quando il formato VHS ha battuto il Betamax non perché fosse tecnicamente migliore, ma perché era più diffuso nei negozi di noleggio. Lo stesso sta accadendo tra auto a idrogeno ed elettriche.

Le auto elettriche hanno potuto contare su una rete di distribuzione già esistente: la rete elettrica. Qualsiasi presa di corrente può teoricamente diventare un punto di ricarica. Tesla, per esempio, ha costruito in parallelo sia le sue auto sia una rete globale di 35 mila supercharger, rendendo le ricariche rapide e accessibili.

L’idrogeno, invece, ha bisogno di una rete completamente nuova: gasdotti per il trasporto, stazioni di rifornimento, impianti di produzione. Un’infrastruttura del genere richiederebbe investimenti stimati tra gli 80 e i 143 miliardi di euro solo in Europa. Un costo esorbitante per un’industria che fatica a decollare.

Una lezione per il futuro

Le grandi innovazioni tecnologiche sono sempre state sostenute da investimenti pubblici su larga scala. Lo sviluppo dell’energia nucleare, dei treni ad alta velocità e delle missioni spaziali è avvenuto grazie a ingenti finanziamenti statali e a piani strategici ben definiti. Lo stesso sarebbe necessario per l’idrogeno, ma i governi di oggi sembrano riluttanti a fare il primo passo.

Se vogliamo davvero un futuro a emissioni zero, continua a sembrare necessario puntare su un mix di tecnologie: auto elettriche per la mobilità urbana e auto a idrogeno per le lunghe percorrenze. Ma senza una visione chiara e investimenti massicci, l’idrogeno rischia di restare il Betamax dell’automotive: un’ottima idea… finita nel dimenticatoio.

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