La scomparsa dell’ingegner Castelli
Castelli. Bastava pronunciare questo cognome nei paddock degli autodromi e subito partiva un coro di riconoscimento: “L’ingegnere Pier Guido!”. E poco ci mancava che qualcuno si mettesse sull’attenti, come davanti a un generale. Tanto era il rispetto, la stima – ma anche l’affetto – che si era guadagnato negli anni, in un mondo dove contano i risultati, ma dove i valori umani fanno ancora la differenza.
Pier Guido Castelli era un uomo riservato, concreto, dotato di un’intelligenza brillante e di una finezza tecnica che si percepiva anche solo ascoltandolo parlare. Dietro a un sorriso misurato e a uno sguardo curioso, si nascondeva un patrimonio di competenze ingegneristiche che ha lasciato un segno profondo nel motorsport e nell’industria automobilistica italiana.
Dopo la laurea conseguita al Politecnico di Torino nei primi anni Settanta, il giovane Castelli mosse i primi passi alla Westinghouse, proprio nel capoluogo piemontese. Fu un periodo di formazione intensa, in un ambiente tecnico d’eccellenza, dove poté affinare le sue doti analitiche e progettuali. Vi rimase per circa sei anni, prima di essere attratto da una delle aziende simbolo della motorizzazione italiana: la Fiat.
Nel gruppo torinese entrò dapprima al Centro Ricerche Fiat, uno dei laboratori di innovazione più avanzati del settore, dove si lavorava su nuove tecnologie e soluzioni meccaniche d’avanguardia. Ma ben presto, sotto la gestione di Vittorio Ghidella, un altro destino lo attendeva: Maranello.
Era il periodo della Ferrari “tecnica”, quella in cui John Barnard stava rivoluzionando la Formula 1 portando il primo telaio monoscocca in carbonio, e una filosofia progettuale che privilegiava l’aerodinamica, l’efficienza e l’affidabilità. Castelli entrò nel cuore di quella sfida con competenza e passione, contribuendo in modo significativo allo sviluppo delle monoposto rosse.
Il suo momento più alto arrivò nel 1988, in una delle stagioni più drammatiche e al tempo stesso memorabili della storia Ferrari. Appena un mese dopo la scomparsa del fondatore Enzo Ferrari, la Scuderia conquistò una splendida doppietta a Monza, proprio nel Gran Premio d’Italia: primo Gerhard Berger, secondo Michele Alboreto. Quel giorno, tra le lacrime e gli applausi, Castelli era lì, dietro le quinte ma protagonista. Un trionfo che aveva il sapore della consacrazione, e che ancora oggi viene ricordato come un omaggio collettivo al mito del Cavallino.
Dopo diversi anni a Maranello, con tutte le difficoltà e le soddisfazioni che quel ruolo comportava, nel 1991 Castelli rientrò a Mirafiori, per dedicarsi a progetti legati a telai e trasmissioni. Ma il richiamo delle corse era troppo forte. E così, nel giro di poco, tornò in pista, questa volta con un altro grande nome del motorsport italiano: Alfa Romeo.
Entrò in Alfa Corse in un momento cruciale: dopo i trionfi nel DTM e nel BTCC con la 155 V6 TI, guidata da campioni come Nicola Larini e Gabriele Tarquini, il team si stava preparando per una nuova sfida, quella dell’ITC (International Touring Car Championship). Un campionato ambizioso, in cui l’Alfa avrebbe affrontato le corazzate tedesche Mercedes e Opel, in un contesto tecnico regolamentato ma estremamente competitivo.
Castelli mise a frutto tutta l’esperienza maturata in Formula 1, trasferendo concetti avanzati di ingegneria su vetture da turismo. Collaborò con tecnici di altissimo profilo come Sergio Limone e Pino D’Agostino, e contribuì a ottenere risultati significativi, con podi e vittorie conquistati da piloti del calibro di Larini, Nannini e persino Alboreto, che ritrovò con piacere dopo l’esperienza ferrarista.
Nel 1997, chiusa quella stagione sportiva, Castelli fece ritorno alla Fiat, dove si occupò di veicoli commerciali fino al 2002, affrontando sfide diverse, ma con lo stesso spirito pragmatico e innovativo che lo aveva sempre contraddistinto.
Fu poi la volta di un altro simbolo dell’eccellenza italiana: Pininfarina. L’ingegnere Castelli fu nominato Direttore Generale dell’Ingegneria, un ruolo di grandissima responsabilità che lo vide coinvolto in progetti di respiro internazionale come la Volvo C70 Coupé-Cabrio e la Ford Focus Cabrio. Lasciò l’azienda di Andrea Pininfarina poco prima del lancio di un’altra vettura iconica: la nuova Alfa Romeo Spider, derivata dalla Brera e proclamata Cabrio of the Year 2006.
La sua ultima esperienza fu alla Sabelt, azienda leader nei sistemi di sicurezza per auto da corsa e sportive. Anche qui, Castelli lasciò il segno, progettando e sviluppando cinture, sedili e sistemi di ritenuta per marchi di altissimo profilo come Ferrari, Abarth, Maserati, McLaren, Renault, Seat, Porsche. Un’ulteriore dimostrazione della sua versatilità e del suo contributo trasversale, dalla pista alla produzione, dalla performance alla sicurezza.
Oggi, Pier Guido Castelli riposa tra le colline di Pecetto Torinese, in un angolo sereno del Piemonte che amava profondamente. In un torrido pomeriggio d’agosto ha scelto di congedarsi, lasciando ai giovani ingegneri del presente e del futuro un’eredità concreta: progetti, soluzioni, metodi, ma anche uno stile.
Quel suo modo inconfondibile di fare le cose con discrezione, precisione, signorilità e ironia. Un esempio raro, oggi più che mai prezioso.
Lascia un Commento
Vuoi partecipare alla discussione?Sentitevi liberi di contribuire!