ANALISI – Tesla, la slot machine che fa soldi (verdi)
La sua azienda vende meno, ma Musk fa comunque piovere dollari grazie ai crediti verdi. I concorrenti preferiscono pagare piuttosto che investire, mentre Bruxelles minaccia multe salatissime. Più che un costruttore, Tesla sembra una banca
Elon Musk sembra abbia un superpotere quando si parla di Tesla: anche quando le vendite zoppicano, piovono comunque dollari nelle sua tasche. Non importa se nel 2024 le consegne di auto siano scese dell’1,1% o se a gennaio il crollo sia stato a due cifre sui principali mercati europei. Il patron di Tesla trova sempre il modo di restare sulla cresta dell’onda, questa volta grazie a due assi nella manica: la sua simpatia per Donald Trump e un business alternativo da vero squalo della finanza nella green economy.
Cavare soldi dalle rape… ops, dai rivali
Le montagne russe in Borsa sono il pane quotidiano per Musk, ma l’andamento del titolo Tesla è stato particolarmente frizzante in questi mesi. Da quando Trump è tornato al centro della scena politica americana, le azioni Tesla hanno guadagnato quasi il 50%: una performance che sembra più legata alle amicizie… altolocate del boss che alle vendite delle sue auto. Ma il vero colpo da maestro arriva dalla vendita dei crediti verdi. Se i costruttori tradizionali vogliono evitare multe milionarie per lo sforamento dei limiti di emissioni, devono comprarsi una sorta di indulgenza ambientale: i famigerati “crediti normativi”. E chi ne ha da vendere in abbondanza? Ovviamente Tesla, che dal 2012 ha incassato ben 32 miliardi di dollari da questo business, ovvero il 34% dei suoi profitti totali. Un’enormità. E il 2024 è stato un anno da record: nel solo quarto trimestre, alla voce “Automotive regulatory credits”, Tesla ha registrato 692 milioni di dollari di ricavi. Per tutto il 2024, il bottino è salito del 54%, arrivando a 2,76 miliardi di dollari rispetto agli 1,79 miliardi del 2023.
Per le emissioni fuori controllo c’è MuskBank
Ma chi sono i disperati che comprano i crediti di Musk? Tra i costruttori che acquistano crediti da Tesla troviamo Toyota, Stellantis, Ford, Mazda e Subaru. Un altro “pool” è guidato da Geely, con Mercedes, Smart, Volvo e Polestar. Questi costruttori sembra trovino più conveniente – almeno nel breve termine – aprire il portafoglio piuttosto che investire miliardi per adeguare i loro prodotti a normative sempre più stringenti.
E attenzione: se con Bruxelles non si troverà un accordo, nel 2025 le multe per lo sforamento delle emissioni potrebbero arrivare a 15 miliardi di euro per i costruttori europei. Qualcuno sta già facendo i conti: Volkswagen ha stimato un impatto da 1,5 miliardi di euro di sanzioni nel 2025. Non a caso, si vocifera che possa ricevere una mano dal partner cinese Saic, pronto a cedere parte dei suoi crediti per evitare che il marchio MG finisca nei guai.
L’ho comprata prima che impazzisse
Certo, Musk può vendere crediti solo se Tesla continua a immatricolare auto e accumulare “green points”, ed è qui che arrivano le dolenti note. Il 2024 in Europa è iniziato con numeri terribili per Tesla, che a gennaio, ha registrato cali impressionanti: -63% in Francia, -59% in Germania, -44% in Svezia, -38% in Norvegia, -42% in Olanda e -12% nel Regno Unito. Paesi dove l’elettrico va forte, ma dove Tesla sta perdendo smalto.
Due sono i fattori che potrebbero spiegare questa débacle. Il primo è l’invecchiamento della gamma: la Model Y è sul mercato dal 2020 e l’aggiornamento è previsto solo in marzo, giusto in tempo per la trimestrale. Il secondo è l’immagine politica di Musk. Negli Stati Uniti circolano delle Tesla con sui lunotti adesivi ironici con scritte come “I bought this car before Elon went crazy” (ho comprata questa auto prima che Elon impazzisse), un chiaro riferimento al suo appoggio a Trump e alla destra radicale.
Tesla è il perfetto esempio di come il mercato automobilistico stia navigando in acque agitate. L’elettrico fatica a decollare, i costruttori tradizionali temporeggiano, ma intanto sganciano miliardi per evitare multe salate. E Musk? Continua a far soldi senza nemmeno dover vendere più troppe auto. Sembrerebbe proprio che una macchina perfetta non debba muoversi bene solo sulle sue quattro ruote, ma anche sui tavoli di politica e finanza.
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