Come farsi risarcire un danno causato da una buca stradale

Quando si ha un incidente, con l’auto, la moto, la bici o addirittura a piedi, a causa di una buca stradale, l’ultima cosa a cui si pensa è quella di poter dimostrare, in caso di futuro contenzioso con il Comune o con l’amministrazione proprietaria della strada –le altrui responsabilità e la propria buona condotta di guida. Eppure è su questo su cui si gioca la partita del risarcimento del danno. Ed è proprio qui che si registrano i principali contrasti della giurisprudenza.

Il punto di partenza è che il codice civile (articolo 2051 del cod. civ.) stabilisce che qualsiasi soggetto proprietario o custode di una cosa (quale appunto la strada) è sempre obbligato al risarcimento per i danni da essa prodotti a terzi, a prescindere da una eventuale sua colpa o malafede. È ciò che si chiama “responsabilità oggettiva”, quella cioè che prescinde dall’atteggiamento psicologico del titolare del bene, ma che scatta per il semplice rapporto oggettivo tra il soggetto e la cosa.

Dunque, almeno in teoria, la via del risarcimento dovrebbe essere agevole per l’automobilista. Invece, per come si vedrà in seguito, non è sempre così. Ma procediamo con ordine.

Quando si cade in una buca stradale, bisognerebbe già pensare, per prima cosa, all’eventuale contenzioso che potrebbe sorgere con la pubblica amministrazione. Non è, infatti, vero che la P.A. è sempre dalla parte del cittadino, specie quando si tratta di pagare. Anzi, gli enti pubblici ragionano come soggetti portatori di un interesse personale, che non coincide sempre con quello del singolo. Quindi, prima di spostare l’auto (o altro mezzo) dall’avvallamento apertosi sull’asfalto, è opportuno documentare le prove del fatto storico. Una fotografia scattata con il cellulare è certamente la cosa più immediata. Ma poiché, nel giudizio civile, essa viene considerata una “riproduzione meccanica”, facilmente contestabile dalla controparte, è meglio procurarsi una prova certa come il verbale della polizia municipale o stradale, cui bisognerebbe telefonare immediatamente.

Non sempre, però, le autorità sono in grado di raggiungere il luogo in oggetto; così un testimone (persino il coniuge presente in auto) può essere utile per convincere il giudice a darvi ragione. Se siete soli, sappiate che le vostre dichiarazioni non potranno essere utilizzate in causa, per cui è sempre necessario avere un testimone che possa essere d’aiuto, qualora dovessimo adire vie legali.

La fase successiva è la dimostrazione del danno subìto dal mezzo (cosiddetti danni materiali) e, eventualmente, dalla nostra stessa persona (cosiddetti danni fisici). Se, nel primo caso, la fattura del gommista, del batti lamiera o dell’elettrauto è più che sufficiente a garantire la prova del danno. Per chi invece ha riportato contusioni o altre lesioni fisiche, solo il certificato di pronto soccorso può dare quel margine di sicurezza per poter poi rivendicare il risarcimento.

Se non avete intenzione di riparare l’auto prima di avere i soldi del risarcimento, sappiate che non solo potrebbe passare molto tempo, ma proprio la mancanza di una prova dell’esborso potrebbe essere utilizzato dall’amministrazione a giustificazione del mancato indennizzo.

Con le prove così raccolte, il primo passo da compiere è una richiesta di risarcimento inviata con raccomandata al Comune. La diffida può essere inviata da voi stessi o dal vostro avvocato. Purtroppo la voce del cittadino è ascoltata molto meno di quella dei legali. Per cui se la diffida è inviata da uno studio legale c’è più possibilità che venga accolta. Ma non basta. Il più delle volte i Comuni prendono tempo fino ad arrivare alla causa. Ed è proprio qui che si gioca la vera strategia processuale. Per cui è bene conoscere cosa ha detto, negli scorsi anni, la giurisprudenza.

La prima cosa da sapere è che, come detto, la responsabilità della pubblica amministrazione si presume, salvo che quest’ultima dimostri che l’evento si è verificato per un caso fortuito, ossia per un fatto imprevedibile e inevitabile. Che, di certo, non può considerarsi l’apertura della buca a seguito di una pioggia o di una nevicata, atteso che la buona manutenzione delle strade è un onere della pubblica amministrazione che non può essere scaricata sulle intemperie climatiche.

Il caso fortuito, però, potrebbe consistere nel comportamento dello stesso conducente che, andando per esempio veloce con l’auto o, comunque, oltre i limiti stabiliti dal codice o dalle concrete condizioni della strada, abbia agevolato egli stesso il rischio del danno. Allo stesso modo un comportamento distratto, come quello di chi utilizza il telefonino, senza accorgersi della buca, rompe quella responsabilità diretta che lega l’amministrazione alla strada e, quindi, impedisce il risarcimento.

Un ultimo aspetto risulta assai importante e da non sottovalutare. La giurisprudenza ha chiarito, in passato, che solo le insidie o i trabocchetti possono essere oggetto di risarcimento: si tratta, in pratica, di tutte quelle situazioni di pericolo non facilmente visibili con l’ordinaria diligenza. Il che potrebbe essere sintetizzato in questo modo: tanto più è grande ed evidente la buca, tanto più è illuminato il tratto di strada, tanto meno possibilità di ottenere il risarcimento ci sono.

In passato qualche giudice ha addirittura stabilito che l’automobilista che deliberatamente scelga di percorrere una strada in evidente stato di dissesto non può che prendersela con sé stesso per l’eventuale danno !

Ora, però, viene la parte delicata sulla quale non tutti i giudici sono d’accordo: a chi spetta provare la presenza dell’insidia o il trabocchetto? Il che, in buona sostanza, significa: è l’automobilista a dover dare prova al giudice che la fossa non era facilmente visibile o, al contrario, è l’amministrazione a dover dimostrare il contrario (che, cioè, l’ostacolo poteva essere evitato con un minimo di attenzione)? Dunque, sulla responsabilità più o meno rigida dell’amministrazione proprietaria dell’area, nel senso che ogni buca o insidia costituisce sempre una responsabilità dell’ente pubblico, la giurisprudenza è da tempo divisa.

Secondo il Tribunale di Napoli (Trib. Napoli, sent. n. 144 dell’8.01.2016)



il potere di controllo su un bene di proprietà, va inteso come effettiva possibilità di governare il bene stesso e quindi di farlo oggetto di attività di controllo della sua pericolosità e di intervento per manutenzione tutte le volte che si renda necessario. Spetta quindi all’ente proprietario della strada dimostrare che la caduta sia stata imputabile ad un fattore estraneo al proprio onere di custodia della via.

Una parte della magistratura, invece, ritiene che anche se al soggetto proprietario della strada aperta al pubblico può essere attribuita una responsabilità per colpa per non avere osservato le comuni norme di prudenza nel controllo delle strade, tale colpa va valutata, da parte del giudice, alla luce del grado di prudenza ed attenzione posta dal conducente del mezzo nel percorrere la stessa strada. La Cassazione ha sostenuto ad esempio che la possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la presenza dell’insidia come causa dell’incidente (Cass. sent. n. 18865 del 24.09.2015).

Non basterebbe, insomma, secondo tale orientamento, la semplice caduta per una buca a costituire insidia stradale, perché il giudice deve sempre valutare se il conducente abbia comunque guidato con prudenza e con l’attenzione doverosa anche verso gli stessi possibili ostacoli notoriamente presenti sul manto stradale (Cass. sent. n. 4661 del 9.03.2015 ).

La possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la presenza dell’insidia come causa dell’incidente, dato che quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più l’incidente deve considerarsi causato dal comportamento imprudente dello stesso.
 (Corte di cassazione, 24 settembre 2015, n. 18865

)

Quando la situazione di possibile pericolo comunque ingeneratasi sarebbe stata verificabile e superabile mediante l’adozione di un comportamento attento e cauto da parte del danneggiato, moderando la velocità e prestando attenzione alle condizioni di traffico e stradali, si può escludere che il danno sia stato cagionato dalla cosa in custodia, circostanza che viene ridotta al rango di mera occasione dell’incidente ma mai come causa dello stesso. 
(Cassazione civile, 9 marzo 2015, ordinanza n. 4661)

Non si può ritenere che il fondo stradale ghiacciato di una autostrada costituisca un evento imprevedibile ed infrequente in una giornata invernale soleggiata. A carico dei proprietari della rete autostradale, per sua natura destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, è configurabile la responsabilità disciplinata dall’articolo 2051 del Codice civile, e quindi un dovere di controllo, anche in condizioni atmosferiche avverse.
 (Corte di cassazione , 24 febbraio 2011, n. 4495)

Nell’ambito della responsabilità di cose in custodia è irrilevante sia l’imprevedibilità dell’evento sia la non visibilità del pericolo; né rileva la condotta del custode e l’osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la responsabilità viene meno solo quando il soggetto tenuto alla custodia ed al controllo provi il caso fortuito, da intendersi sia come fattore esterno imprevedibile, sia come fatto colpevole dello stesso danneggiato. 
(Tribunale di Ivrea, 9 gennaio 2015, n. 12)

Va dichiarata la responsabilità della pubblica amministrazione, proprietaria della strada soggetta a pubblico passaggio, per la caduta accidentale a terra di un conducente di motociclo, dovuta alla presenza di una buca ricoperta di acqua. L’ente pubblico è tenuto, infatti, alla custodia e dalla manutenzione della rete viaria, trovando applicazione la responsabilità del custode in base all’articolo 2051 del Codice civile.
 (Tribunale di Torre Annunziata 3 giugno 2015, n. 879)
(Tratto da laleggepertutti.it)


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