In difesa dell’AUTOVELOX

L’Ospite di Autologia: Franco Battaglia, Docente di Chimica e Fisica all’Università di Modena.

Capisco di rendermi già antipatico col solo titolo. Ma v’invito a guardare le cose da un punto di vista diverso. Tutti i Paesi del mondo, come il nostro, si sono dati regole di comportamento in ordine alla guida di automobili in strada. Tra queste vi sono limiti di velocità, per ovvie ragioni di sicurezza. È vero che alcuni paesi, come la Germania, non prevedono un limite specifico in autostrada, ma questa è statisticamente la tipologia di strada con meno mortalità (inferiore all’8%), e quella tedesca è una valutazione come un’altra. Il limite di 130 km/h italiano, che in Germania non esiste, nello stato di New York si riduce a 105 km/h.

Inoltre, il fatto che non vi sia un limite massimo codificato (come il nostro 130 km/h), non vuol dire che lungo le autostrade tedesche non vi siano limiti: essi esistono, elettronicamente segnalati e variabili. In ogni caso, se da noi la percentuale di mortalità in autostrada è l’8%, in Germania è il 13%. Ma nel complesso la Germania è messa meglio di noi perché lì è di molto ridotta la mortalità fuori dalle autostrade – dove i limiti esistono e sono severamente controllati.

Noi, rispetto a tutto il resto del mondo, dove chi contravviene chiede scusa e paga, siamo unici. Chi contravviene si organizza in comitati: per non pagare e per sostenere le proprie inesistenti ragioni. L’autovelox è uno strumento «per fare cassa», è il mantra ripetuto fino alla noia. Mi verrebbe da dire che è giusto «fare cassa», intendendo con ciò che chi contravviene una regola che la società si dà, deve pagare il proprio debito sociale. Questa è civiltà. Nel caso specifico, una multa. Lieve se il superamento del limite è lieve. Pesante se il superamento del limite è pesante. Il debito sociale da pagare è quello di chi col proprio comportamento ha messo in pericolo la vita altrui. Se il limite ha una ragione oggettiva tecnica per esserci, chi lo supera mette in pericolo l’incolumità altrui.

Quelli che protestano si ergono a tecnici capaci di giudicare “a orecchio” o “a naso” la giustezza di un limite. Altro esercizio molto in voga, presso di noi. Ove, a dispetto di quel che sostiene chi ha competenze in materia, chiunque può dire la propria a briglia sciolta. Come abbiamo massaie che sostengono che le centrali nucleari uccidono, avvocati contro gli Ogm e filosofi contro l’uso del carbone, così ci sono quelli che “quel limite di 60 km/h dovrebbe essere 90 km/h”. Anche così fosse, costoro si guardano bene dall’organizzarsi in comitati contro chi ha imposto il limite, ma lo fanno contro il controllo del suo rispetto. Nel caso specifico l’autovelox.

Gli incidenti càpitano per vari motivi, e la velocità è uno di essi, forse il primo. Ma l’evoluzione di un incidente verso un esito fatale ha una causa quasi unica e sicuramente la prima: la velocità. In molti incidenti non ci scapperebbero morti se avvenissero a velocità ridotte. Orbene, è da circa 15 anni che nel nostro Paese s’installano autovelox quasi a tappeto. Gli introiti dalle multe sono cifre da capogiro, come dicono i giornali. È ragionevole ipotizzare che la maggior parte dei multati, per evitare altre multe, abbia cominciato a tenere una guida più rispettosa dei limiti. Risultato (si veda figura): nelle strade italiane i morti furono 7100 nel 2001 e furono 3400 nel 2014. Dimezzati! Senza l’effetto deterrente del timore della multa, se fino al 2014 ci fossero stati i 7100 morti del 2001, avremmo avuto 24mila in più. Fatemelo ripetere: 24mila! Ognuno di noi o dei nostri cari potrebbe essere tra costoro, vittima non solo di un proprio comportamento pericoloso, ma anche di comportamenti pericolosi altrui.

Durante i 6 anni che ho vissuto in America, una volta fui beccato ad andare a 42 mi/h anziché ai prescritti 35 mi/h. Non ci crederete, ma subii un regolare processo, pagai $60 di multa e mi ritirarono la patente per 2 mesi. All’inizio fui molto scocciato, ma a pensarci bene conclusi che con quei controlli la mia vita era più al sicuro.

Allora, anche se ai vivi che leggono non piacerà, io lo dico lo stesso: viva l’autovelox! Peccato non vi sia la possibilità di chiedere ai morti parere in proposito.

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1 commento
  1. Roberto Gurian
    Roberto Gurian dice:

    Come al solito, quando si tratta di difenderli, gli autovelox “salvano la vita”, bella affermazione piena di pathos e tanta retorica. È la stessa frase usata dall’assessore della Provincia di Milano quando vennero installati autovelox a 90 assurdi km/h sulla Monza-Rho, arteria a doppia carreggiata di circolazione senza incroci a raso. O quelli, altrettanto assurdi, sulla Milano-Meda.
    Aggiungo solo che:
    – il maggior numero di morti si registra sulle strade urbane dove nella maggioranza dei casi il limite è 50 km/h
    – il maggior numenro di morti in autostrada si registra tra 80 e 100 km/h
    – il concetto di velocità pericolosa non può essere assoluto. 50 all’ora sul bagnato su un fondo a scarsa aderenza in mezzo al traffico forse sono più pericolosi dei 250 su un’auto adeguata, su un’autostrada a quattro corsie, sull’asciutto e senza traffico.
    – se il professore frequentasse qualche consiglio di maggioranza comunale forse si renderebbe conto che la tentazione di aggiustare conti depauperati dalla legge di stabilità è molto forte.
    – che forse alla diminuzione dei morti sulle strade contribuisce l’innegabile superiore sicurezza passiva delle auto nuove

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