Luca, la Ferrari e quella passione che non muore mai

Intervistato di recente a Radio Rai, Luca di Montezemolo si è fatto scappare una frase che fa capire molto dell’uomo e delle sue passioni: “Tornerei volentieri alla Ferrari ma ho le porte chiuse”. Segno di un amore che non è mai passato e che ancora arde sotto le ceneri di un malcelato disinteressamento.

Ma più che il Montezemolo di ritorno, vale la pena raccontare il Montezemolo dell’epoca visto con gli occhi del giornalista. La sua è stata una presidenza che ha partorito il ciclo più vincente degli ultimi 50 anni con i mondiali a ripetizione con Schumacher e  Raikkonen ma anche i titoli costruttori. Un periodo lontano nel tempo e che alla luce attuale sembra impossibile da ripetere per i prossimi 20 anni.

Il ritorno di Montezemolo a Maranello avvenne in un freddo giorno dell’inverno del 1991, dopo che le gestioni totali made in Fiat si erano risolte in un fallimento. Il grande Drake era morto nell’agosto del 1988 e la sua successione non fu affatto facile. Grande affabulatore, anzi un incantatore di serpenti come scrisse qualcuno, Montezemolo si prese in carico una Ferrari che era in crisi a livello industriale, con prodotti di scarso valore e tecnica, una squadra F.1 che arrancava e non aveva né capo né coda.

“Ero a un semaforo con la mia Ferrari e vedo una Golf GT a fianco. Scatta il verde e questo mi brucia sullo scatto. Una Ferrari che si fa dare la paga da una Golf? Sono tornato in azienda e ho sollevato i responsabili dei settori”. Ecco, in gergo, con chi ha lavorato con Montezemolo, era quando al “capo scende la catena”. In quei momenti bisogna stare alla larga da Montezemolo, lasciarlo sfogare e prepararsi agli insulti più feroci, salvo poi tornare a far finta di niente come se non fosse mai successo nulla.

Nell’inverno del ‘92, alla presentazione della disastrosa F92, col doppio fondo, Montezemolo affabulò la platea di giornalisti. Eh sì, perché le presentazioni le faceva con la stampa, anzi adorava parlare con loro, proprio come faceva Enzo Ferrari, e nel caso togliersi pure qualche sassolino dalla scarpa: “Io vedo un futuro radioso per la Ferrari nei prossimi tre anni. Dateci fiducia. Vedo un raggio di sole che spunta dalle nubi temporalesche come quel raggio di sole che oggi spunta laggiù verso il nostro futuro” e indicò appunto il sole che faceva capolino fra le nubi. Applausi, meccanici e personale commosso, stampa col titolo pronto da stampare in grande sui giornali. I tre anni furono sette e la stampa inglese ci giocava: “Montezemolo, giunto al settimo anno del suo programma triennale, chiede fiducia” titolava Autosport. E lui masticava amaro, si incazzava ma qualcuno era contento. Quello che gli vendeva le televisioni. Perché spesso e volentieri, quando la gara andava male, partivano moccoli, bestemmie e una scarpata alla TV che veniva sostituita con una nuova. “Mi sa che il mio rivenditore ha allargato il negozio di televisori negli ultimi anni” scherzava Montezemolo.  La situazione non era facile, anzi: Todt era antipatico a tutti per i suoi modi duri, Schumacher non aveva conquistato il tifo, il gruppo degli inglesi non aveva partorito nulla e la gente, con la stampa, andava giù pesante. Mica come adesso dove i commenti sono tutti annacquati verso la gestione Binotto. Scrissi un fondo sul settimanale Rombo, del quale ero inviato ai GP: i tormenti di Montezemolo, con l’invito a non mollare, stringere i denti, perché l’insegnamento del Grande Vecchio e quelli di Gilles Villeneuve, erano impressi nel DNA dei ferraristi. Giorni dopo arriva una lettera in ufficio, con una risposta di Montezemolo che ringraziava e diceva di contarci perché non avrebbe mollato.

Oggi non ti invitano nemmeno alle cene di Natale perché sei stato cattivo, se avessero adottato lo stesso sistema a quel tempo, probabilmente mi avrebbero fucilato all’ingresso di Fiorano… Anzi, nel ‘94 ci fu il punto più basso del rapporto. Un buttafuori inglese a Silverstone decide di sgombrare i box dai giornalisti e per farlo mena quello più magro. Il vostro cronista. Berger aspettava di parlare e aveva chiamato tutti nel box, il tizio non si è fatto prendere dal dubbio e ha menato duro. Ferrari KO ai box, titolarono tutti. Della vittoria di Hill quasi un trafiletto, della menata ai box col vostro cronista, titoli cubitali. A Natale arriva l’invito di Montezemolo al pranzo riassuntivo. Arrivo tardi per il traffico in autostrada. Apro la porta del salone a Fiorano e sento Montezemolo che urla: “Ma Ciccarone dove è? Non è che me lo hanno menato un’altra volta che poi mi toglie spazio sui giornali?”. Faccio in tempo ad entrare e mi scuso: “Mi perdoni presidente, ho fatto tardi in palestra visto che dovevo venire alla Ferrari, mi sono preparato”. Risate generali, pacche sulle spalle e un regalo: un paio di guantoni da box coi colori Ferrari e il cavallino.

Ecco, con Montezemolo ha sempre prevalso la passione, l’istinto, l’impulso di essere in prima linea. E di farsi carico dei problemi ed errori della squadra. Forse un po’ troppo invadente, in certi casi, con scelte sue scaricate su altri che se ne sono fatti carico (vero Domenicali?), ma pur sempre un tifoso, un appassionato da prima linea. Siamo rimasti in ottimi rapporti, quasi di amicizia se posso dopo oltre 20 anni di frequentazioni e discussioni. La sua passione non si discute, il suo attaccamento alla Ferrari nemmeno. Potrebbe essere l’uomo giusto adesso? Chi lo sa. Di certo fu John Elkann a chiederne le dimissioni perché la Ferrari doveva essere quotata in borsa a New York e Marchionne aveva più peso e conoscenza. Ma se Elkann è persona intelligente, sa che questa Ferrari ha bisogno di uno solo al comando. O lo prende lui come si deve, oppure deve delegare. I risultati dicono che per un po’ di anni non si vincerà, si deve ricostruire in vari settori. Far saltare Binotto o dei tecnici, non serve a niente. Serve farli lavorare sereni e compatti, a costo di veder volare le scarpe contro le TV nelle riunioni del lunedì mattina a Maranello, ma un chiaro sintomo di chi ci tiene e ama la Ferrari.

lucamicizia

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