MERCATO – Auto in retromarcia, frenata italiana
Il mercato dell’auto italiano inizia il 2025 in forte calo, influenzato dall’incertezza sulla transizione energetica e dai prezzi elevati delle vetture. La transizione ecologica è vista come un ostacolo significativo, con il 60% dei concessionari che la indica come il problema principale
Se il mercato dell’auto fosse un film, il suo titolo non sarebbe certo “Fast & Furious”, visto che le immatricolazioni in Italia hanno registrato un brusco stop, con 137.922 nuove vetture targate, in calo del 6,3% rispetto allo stesso mese del 2024. Il bilancio del primo bimestre non lascia spazio a illusioni: 271.638 unità, con una flessione del 6,1% rispetto all’anno precedente e un preoccupante -14,9% rispetto al 2019, ultimo anno pre-crisi.
A mettere il freno a mano al mercato ci pensano diversi fattori, a partire dall’incertezza legata alla transizione energetica. Secondo il Centro Studi Promotor, il 60% dei concessionari segnala proprio la transizione ecologica come uno dei principali ostacoli, mentre il 58% punta il dito contro i prezzi delle vetture, giudicati troppo elevati. Come se non bastasse, il 79% dei concessionari ha registrato una bassa raccolta di ordini a febbraio, mentre l’84% ha lamentato una scarsa affluenza di visitatori nei saloni.
Strada in salita per l’elettrico
A pesare come un macigno è la gestione della transizione energetica da parte dell’Unione Europea. L’attesa per l’imminente Piano di Azione di Ursula von der Leyen era alta, ma le indiscrezioni parlano di un ulteriore inasprimento delle politiche a favore della mobilità elettrica, senza concessioni alla neutralità tecnologica. Una direzione che, secondo molti osservatori, rischia di infliggere il colpo di grazia all’industria automobilistica europea già provata dalla concorrenza cinese e dalle tensioni commerciali con gli Stati Uniti.
“Stupisce – sostiene Gian Primo Quagliano, presidente del Centro Studi Promotor – che l’Unione Europea non percepisca l’assoluta necessità di non demolire la sua industria dell’auto con tutto quello che ne consegue in termini di produzione di ricchezza e di occupazione proprio quando l’economia europea deve far fronte ai colossali investimenti indispensabili per la difesa comune e per altri settori in difficoltà a causa della politica varata dal presidente Trump”.
Costi alti, benefici ridotti?
Al centro del dibattito c’è la domanda da un milione di euro (e forse anche più): vale davvero la pena mettere a rischio un’intera filiera industriale per ottenere una riduzione delle emissioni di CO2 pari al 3,3% a livello mondiale, per di più nell’arco di oltre 30 anni? Soprattutto considerando che la CO2 è solo uno dei gas serra responsabili del cambiamento climatico, mentre su altri inquinanti come metano, ozono e alocarburi si fa ancora troppo poco.
La sensazione è che Bruxelles stia guidando il cambiamento con il pilota automatico, ignorando i segnali di pericolo che arrivano dal mercato e dall’industria. Il rischio è trovarsi con una transizione a metà: né elettrici, né competitivi, mentre le economie asiatiche e americane accelerano lasciando l’Europa a fare da spettatrice.
Se il 2025 è l’anno delle grandi decisioni politiche, l’auspicio è che si accenda almeno una spia sul cruscotto dell’Unione Europea: quella del buonsenso.
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