MERCATO – Finanziamenti tarocchi per le auto: lo scandalo inglese toccherà anche l’Italia?

Dopo il colossale fiasco delle polizze di protezione del credito (Payment Protection Insurance, PPI) il settore bancario britannico potrebbe essere travolto da un nuovo “capolavoro finanziario” soprannominato PPI 2.0. Stavolta, i riflettori sono puntati sulle innocentissime commissioni segrete sui prestiti auto. Sì, perché quando compri un’auto, chi non ama scoprire che una fetta consistente del prezzo è stata allegramente dirottata in tasca a qualcuno senza il tuo consenso?

Nel 2024, un caso pilota presso la Corte d’Appello ha osato rompere la magia, stabilendo che gli acquirenti di auto possono addirittura reclamare il rimborso delle commissioni pagate in segreto dai finanziatori ai venditori. Impressionante, vero? In pratica, si arriva fino a una commissione di 1.650 sterline, pari al 70 per cento del costo del prestito o giusto un modesto 25 per cento del prezzo dell’auto. Ma chi bada a questi dettagli?

La parte migliore di tutto ciò è che i consumatori possono andare direttamente dal finanziatore a battere cassa, bypassando il concessionario e, ovviamente, i prestatori di credito sono adesso comprensibilmente nel panico, tanto che alcuni stanno addirittura pensando di non concedere più prestiti auto. Che peccato, davvero. Non sappiamo come farà il mercato a sopravvivere senza la loro benefica influenza.

Tra i colossi finanziari, le potenziali passività sono impressionanti: Lloyds Bank potrebbe affrontare costi fino a 2,5 miliardi di sterline, mentre Santander si stima a rischio per 1,1 miliardi di sterline. Non sorprende quindi che i finanziatori coinvolti nel caso (FirstRand Bank e Close Brothers) abbiano deciso di portare la questione alla Corte Suprema, con un’udienza prevista dal 1° al 3 aprile 2025.

Il caso solleva interrogativi non solo sulle condizioni necessarie per una rivendicazione di successo, ma anche sulla legittimità di rendere i finanziatori responsabili per le commissioni non divulgate dai concessionari. Storicamente, il diritto contrattuale inglese ha adottato un approccio “laissez-faire” e non esistono leggi specifiche che disciplinino esplicitamente tali commissioni. Tuttavia, il diritto fiduciario – un ramo del diritto che richiede maggiore trasparenza – sta avendo un ruolo sempre più rilevante.

Come messo in evidenza da The Conversation in un articolo di Derek Whayman, docente di Giurisprudenza all’Università di Reading, queste regole hanno origine nei trust aristocratici, dove i fiduciari gestivano patrimoni familiari e dovevano agire nell’interesse dei beneficiari. Negli anni Novanta, questo principio è stato esteso ad altri ambiti, inclusi i rapporti tra consumatori e intermediari. Nel 2007, un primo caso di successo ha stabilito che i consumatori avevano diritto a conoscere l’ammontare delle commissioni pagate agli intermediari. Un ulteriore passo avanti si è avuto nel 2015, quando la Corte d’Appello ha ribadito l’importanza della trasparenza.

Il settore automobilistico è uno dei più colpiti da questa vicenda. Oltre l’80 per cento delle auto nuove e usate nel Regno Unito viene acquistato tramite finanziamenti, il che rende il mercato particolarmente vulnerabile a pratiche opache. I concessionari, spesso incentivati dalle commissioni offerte dai finanziatori, possono influenzare in modo significativo la scelta del consumatore, talvolta senza fornire informazioni chiare sui costi effettivi del prestito.

La sentenza della Corte d’Appello mette in discussione il ruolo dei concessionari come intermediari, mettendo in evidenza come il mancato rispetto delle regole sulla trasparenza possa minare la fiducia dei consumatori. Questo è particolarmente rilevante in un settore già sotto pressione a causa della transizione verso veicoli elettrici e delle difficoltà economiche globali.

Inoltre, il caso solleva interrogativi su come i produttori di auto e le loro reti di concessionari gestiranno i finanziamenti in futuro. Potrebbero emergere nuove strategie per garantire maggiore trasparenza, come la standardizzazione delle informazioni sui costi o l’introduzione di piattaforme digitali che permettano ai consumatori di confrontare facilmente le offerte di finanziamento.

Anche in Italia, il mercato dei finanziamenti auto rappresenta una componente fondamentale delle vendite di veicoli, con una larga percentuale di acquirenti che si affida a prestiti o leasing per finanziare l’acquisto. Il rischio di scandali analoghi a quello del PPI 2.0 nel Regno Unito è reale, soprattutto in assenza di una regolamentazione stringente sulla trasparenza delle commissioni.

Nel nostro Paese la normativa prevede che le informazioni relative ai costi dei finanziamenti siano chiaramente indicate nei contratti, ma nella pratica queste possono essere presentate in modo poco accessibile o confuso. Le commissioni applicate dai concessionari, spesso in collaborazione con le finanziarie, non sempre vengono esplicitate in modo adeguato, lasciando i consumatori all’oscuro di possibili conflitti di interesse.

Un ulteriore elemento di vulnerabilità è rappresentato dalla mancanza di consapevolezza tra i consumatori italiani, che raramente mettono in discussione le condizioni dei prestiti. Ciò potrebbe portare a situazioni in cui i consumatori pagano costi nascosti senza saperlo. Inoltre, la scarsa diffusione di strumenti digitali per confrontare le offerte di finanziamento complica ulteriormente la situazione.

Un potenziale scandalo simile in Italia metterebbe in evidenza la necessità di riformare il sistema dei finanziamenti auto, introducendo norme più rigide sulla trasparenza e incentivando pratiche più corrette da parte dei concessionari e delle finanziarie. L’esperienza britannica potrebbe essere un bel campanello d’allarme per le autorità italiane, sempre che abbiano voglia di ascoltarlo – cosa che, diciamocelo – non è mai stata il loro forte. Magari, con un pizzico di audacia, potrebbero persino intervenire prima che scoppi un’apocalisse di reclami e battaglie legali. Ma perché rovinare una tradizione così consolidata con reazioni tardive?

Il caso PPI 2.0 non si limita a smascherare il lato oscuro dei prestiti auto – quello era quasi troppo facile. No, questo è uno spettacolo a tutto tondo che solleva domande epocali sulla regolamentazione dei servizi finanziari e sulla scarsa tutela dei consumatori. Con una sentenza definitiva in arrivo dalla Corte Suprema, possiamo aspettarci ripercussioni di portata… biblica. Il settore automobilistico, il panorama legale e addirittura il povero sistema finanziario britannico potrebbero non essere più gli stessi. Una tragedia shakespeariana.

Nel frattempo, il sistema giuridico si diverte ad applicare i principi del Tetris: cercare di incastrare leggi obsolete in scenari moderni. Sarà interessante vedere se i consumatori otterranno davvero la giustizia che cercano o se finiranno con un pugno di mosche, un altro classico intramontabile. E le istituzioni finanziarie? Oh, hanno imparato una lezione fondamentale: la trasparenza non è solo un concetto noioso e moraleggiante, ma anche un fastidioso requisito legale e commerciale. Chi l’avrebbe mai detto?

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