Nuove regole, vecchi problemi: il codice della strada sfida la creatività italiana
Dopo mesi di anticipazioni spesso inverosimili, dibattiti infuocati e l’immancabile valanga di critiche e repliche da una parte e dall’altra degli schieramenti politici, è finalmente arrivato il nuovo codice della strada, una vera opera d’arte legislativa che, finalmente, mette ordine nel caos dell’ovvio. Ma è davvero la panacea per tutti i mali delle nostre strade o è solo l’ennesima lista di buone intenzioni destinate a rimanere sulla carta? La storia recente ci insegna che, in Italia, tra il dire e il fare c’è di mezzo molto più di un mare: un oceano di burocrazia, inefficienze e disattenzioni croniche.
Tra le modifiche più chiacchierate, spicca l’inasprimento delle sanzioni per l’uso del cellulare alla guida. Si parla di multe astronomiche, punti che volano via più veloci di una Formula 1 sul rettilineo di Monza e perfino la sospensione della patente per i recidivi. Una misura sacrosanta, dirà qualcuno. Ma davvero pensiamo che basti una multa più salata per convincere chi non può resistere a mandare un whatsapp mentre sorpassa in autostrada? Forse si sottovaluta l’abilità tutta italiana di trovare scappatoie: dalle cover per telefoni che simulano una custodia da agenda fino a posizioni di guida degne di un contorsionista pur di non farsi scoprire.
Non mancano poi le novità per i pedoni, ai quali viene finalmente riconosciuto il diritto di attraversare sulle strisce senza dover esibire un coraggio degno di Indiana Jones. Ma attenzione: secondo il nuovo codice, i pedoni hanno la precedenza solo se hanno già “manifestato l’intenzione” di attraversare. E qui si apre un dilemma filosofico degno di Kant: come si manifesta questa intenzione? Basta uno sguardo deciso? Un passo in avanti? Un cenno del capo? O dovremo iniziare a portare con noi cartelli tipo “Sto per attraversare, fermati”? Alla fine, c’è il rischio che l’unica vera soluzione resti quella di sperare nella buona educazione degli automobilisti, merce rara quanto un parcheggio libero in centro città.
Un altro punto cruciale è l’introduzione di limiti di velocità più stringenti in alcune aree urbane. Lodevole l’idea di tutelare i più vulnerabili, ma c’è un piccolo problema: le nostre città, già congestionate e caotiche, sono il regno della doppia fila, delle buche degne dei crateri lunari e delle piste ciclabili che finiscono nel nulla. Immaginate la scena: il limite è di 30 km/h, ma tanto si procede comunque molto più lentamente perché c’è il camion della spazzatura fermo in mezzo alla strada, il tram bloccato da un’auto abbandonata sui binari e un ciclista (o monopattino o motorino) che zigzaga come in un videogioco. Più che un codice della strada, ne servirebbe uno di sopravvivenza urbana.
E a proposito di ciclisti: il nuovo codice dedica loro una serie di tutele aggiuntive, tra cui l’obbligo per gli automobilisti di mantenere una distanza minima durante il sorpasso. Ottimo sulla carta, meno nella pratica. Perché nelle strade strette dei centri storici – già occupate da cassonetti, auto parcheggiate in modo creativo e pedoni distratti – questa regola rischia di trasformarsi in un obbligo, quello di non superare mai. Un’idea, insomma, che rischia di scontrarsi con la cruda realtà delle nostre infrastrutture.
E poi c’è il grande mistero della segnaletica: qualcuno è sicuro che verrà aggiornata in tempi ragionevoli? O ci ritroveremo con cartelli contraddittori, come già accade in alcune aree dove un segnale invita a rallentare a 30 km/h e uno subito dopo a riprendere i 50 km/h? O nelle strade statali dove al termine dei lavori in corso ci si dimentica di togliere il cartello con il limite dei 20 km/h? La coerenza è un obiettivo ambizioso, ma in Italia è spesso più utopico che praticabile.
Una delle innovazioni più futuristiche è l’introduzione di sistemi di controllo automatizzati. Telecamere intelligenti, sensori avanzati e software in grado di rilevare infrazioni in tempo reale: un sogno per chi spera in strade più sicure, un incubo per chi ha l’abitudine di ignorare gli stop o di parcheggiare in doppia fila “per un minuto solo”. Ma siamo davvero pronti a una rivoluzione tecnologica quando ci sono ancora semafori che non funzionano e strisce pedonali che scompaiono dopo il primo acquazzone? Per molti, questo aspetto del codice sembra più un tentativo di maquillage tecnologico che una reale rivoluzione.
E per il finale ci siamo tenuti la ciliegina sulla torta del nuovo codice della strada: che cosa fare con chi si droga, o lo ha fatto una volta nella vita, settimane prima del controllo?… Prima, per punire un povero autista incauto, bisognava dimostrare che le droghe avessero effettivamente mandato in ferie le sue capacità psicofisiche. Ora basta un test positivo, anche se l’ultima canna risale a quel concerto di Vasco del 2001!
Le sanzioni? Multe da 1.500 a 6 mila euro, arresto da sei mesi a un anno e patente sospesa per un anno o due, sanzioni che raddoppiano se hai avuto la brillante idea di prendere l’auto di qualcun altro. Perché si sa, guidare un’auto prestata aumenta l’effetto delle droghe.
Il vero tocco di classe è nei controlli: un bel test portatile sul posto, magari mentre sei fermo al semaforo, e se il dispositivo decide che hai vissuto un’adolescenza un po’ troppo spensierata, via con le analisi di sangue e saliva.
E se per caso hai la malaugurata idea di essere coinvolto un incidente sotto effetto di droghe? Sblocchi immediatamente il livello “pene raddoppiate”…
L’efficacia del nuovo codice della strada dipenderà come sempre dall’applicazione concreta. Perché le regole, in Italia, sono un po’ come gli addobbi natalizi: bellissimi all’inizio, ma destinati a finire presto dimenticati in un angolo. Se davvero vogliamo strade più sicure, serviranno controlli rigorosi, investimenti nelle infrastrutture e, soprattutto, un cambiamento culturale. Ma, in attesa di tutto ciò, è meglio non esagerare con le aspettative: in fondo, anche i sogni hanno bisogno di un limite di velocità.
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