SCENARIO – Stellantis e il balletto tra investimenti e cassa integrazione
C’è aria di festa negli Stati Uniti, almeno per Stellantis. La casa automobilistica che un tempo era orgogliosamente italiana, da un po’ di tempo sembra preferire le stelle e strisce. Annunciati miliardi di dollari investiti nelle fabbriche americane – compresa quella chiusa da quasi un anno a Belvidere – nuovi pick-up in arrivo e stabilimenti pronti a lanciare sul mercato modelli inediti con tecnologie all’avanguardia. Un’America che torna grande, per dirla alla Trump, mentre in molte linee di produzione italiane si sente solamente il suono del silenzio della cassa integrazione.
Infatti, mentre John Elkann stringe la mano a Donald Trump con un radioso sorriso, a Mirafiori la ben diversa situazione non fa sorridere nessuno. È stata annunciata altra cassa integrazione fino a luglio 2025, sembra essere questa la conseguenza all’attenzione dichiarata dall’azienda che, a quanto pare, si è persa tra l’Atlantico e la burocrazia italiana. Se non cambia nulla, in Italia non si parlerà di rilancio ma di sopravvivenza.
Sindacati a confronto
Antonio Filosa, massimo responsabile delle attività Stellantis in Nord America e per alcuni uno dei papabili alla successione di Tavares, annuncia: “Lavoreremo con il sindacato per rafforzare l’azienda”. Una gioia per le orecchie dello United Auto Workers, il sindacato dei metalmeccanici USA, con cui Stellantis ha trovato un’alleanza strategica. In Italia, invece, Samuele Lodi, della Fiom Cgil, sembra voler avvertire i colleghi americani che anche qui da noi si era parlato di rilancio e ora la situazione sembra essere ben diversa. E aggiunge: “Mentre Elkann vede Trump, il governo italiano non convoca le parti”. In questo caso la politica italiana sembra giocare un ruolo da spettatore non pagante.
In Italia si parla ancora di 500 elettrica e ibrida, due gioielli che tuttavia almeno al momento appartengono a un mercato di lusso e di nicchia, se l’elettrificazione delle auto non esplode. Esplode nel senso buono, ovviamente. Per i sindacati vetture bellissime, certo, ma che non bastano per dare lavoro stabile a migliaia di operai.
Il Made in Italy dimenticato
La politica “America First” di Trump ha dato il via a investimenti che sembrano più una dichiarazione d’amore verso il popolo americano che una strategia industriale globale. Si parla di dazi tra il 200 e il 500% sulle auto prodotte all’estero? Stellantis è la prima azienda a proporre investimenti, ritenendo economicamente conveniente correre all’ovile di Trump.
E l’Italia? Il nostro Paese al momento fa da spettatore in una commedia tragica in cui il protagonista (Stellantis) sembra voler abbandonare il set perché ha ricevuto la proposta in un’altra pellicola dal titolo “Drill, Baby, Drill”, il cui copione sembra essere molto più elettrizzante… ma non in quel senso.
Così, mentre oltreoceano si brinda alla nuova età dell’oro della manifattura americana, in Italia si contano le ore di cassa integrazione e si sogna un rilancio che, a questo punto, sembra sempre più un miraggio. Elkann stringe mani potenti, Trump promette dazi e investimenti, e Stellantis si prepara a sfornare nuovi modelli per il mercato americano.
Forse un tempo il Made in Italy era un vanto per il gruppo. Oggi, sembra essere diventato solo un appunto sbiadito su un foglio abbandonato su una scrivania in qualche ufficio chiuso per cassa integrazione. E mentre i potenti motori a benzina pluri-cilindri ruggiscono e inquinano negli Stati Uniti, in Italia il futuro dell’automotive spera nel sibilo di motori elettrici sempre più numerosi. Per ora, il suono del silenzio, appunto.
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