Sette domande a un preparatore atletico

Riccardo Rossi è un preparatore atletico, oggi si direbbe un personal trainer.

Come un sarto lavora sul corpo con rispetto e competenza per confezionare l’abito su misura, così fa un preparatore con il fisico, conoscendolo e rispettandolo.

Oltre che allenandolo.

Riccardo ha alcuni riferimenti intellettuali e tra questi sicuramente i muscoli tricipiti, “il tricipite è tutto”, la naturopatia in cui è laureato, e un olismo vissuto attivamente, non soltanto predicato dal pulpito di un tapis roulant.

Corpo e mente, ben-essere, psiche e fisico: questo il suo perimetro professionale.

Cantore del gym-tonic, non ha mai rinnegato la fede granata, e se di strada professionale ne ha fatta partendo da una curva del Filadelfia, orgogliosamente ci è rimasto, preferendola sempre alla tribuna, a differenza di altri blasonati tifosi.

Non lo trovi mai impreparato su sport attuale e storia dello sport, dal ciclismo al tennis, all’atletica, al calcio nazionale e internazionale.

Se possiamo augurargli qualcosa è che il Toro trovi presto una nuova presidenza degna del suo passato e possa ricominciare a farlo sognare in notti di nuovo magiche.

1. La tua prima auto, un ricordo…

Il primo ricordo di un auto è legato a me bambino, avevo 4 o 5 anni, e impazzivo al rombo del motore di una Fulvia Coupè colore granata e nero, che un signore parcheggiava in un box del cortile di casa mia. Elegante e aggressiva, uscivo sul balcone estasiato quando ne sentivo il suono.

2. La tua strada del cuore

La mia strada del cuore è la salita di quasi 2 chilometri che lega Mergozzo a Bracchio, il paese dei miei nonni, dove abbiamo trascorso le estati in villeggiatura da bambini, e ancora adesso frequentiamo: luoghi magnifici, ai piedi della Val d’Ossola.

3. Fantasy dinner: chi inviti a cena di piloti o personaggi del mondo della F1 di ieri e di oggi?

Inviterei senz’altro Ayrton Senna, campione brasiliano di F1, morto in un incidente durante il GP a Imola nel 1994.

Fu un pilota pazzesco, capace paradossalmente di incendiarmi il cuore quando guidava sul bagnato. Leggendaria fu la sua vittoria a Donington nel 1993, in cui fece 5 sorpassi durante il primo giro, che fu definito “il giro di Dio” e vinse una gara leggendaria.

4. Se dovessi allenare un pilota di F1 chi sceglieresti? E perché?

Mi piacerebbe allenare Kimi Antonelli, perché è un pilota giovanissimo, dal potenziale enorme, e vorrei poter contribuire in minima parte alle fortune di un 19enne che ha le stimmate del fuoriclasse.

5. Un viaggio in macchina per vedere il Toro, un ricordo…

Il ricordo più bello è legato alla trasferta a Bilbao, nel febbraio del 2015, quando con altri 6 amici, a bordo di un Ulysse, attraversammo il Monginevro e tutta la Francia per vedere il Toro espugnare il San Mames (prima e unica squadra italiana a riuscire nell’impresa) e superare il turno di Europa league.

6. Parlando del tuo mestiere di trainer, che cosa cercheresti di migliorare in un pilota professionista o aspirante professionista? O, forse meglio, come si dovrebbe per te allenare un pilota?

L’allenamento di un pilota di F1 combina preparazione fisica (forza, resistenza, riflessi) e mentale, con particolare attenzione su collo, braccia, gambe e zona lombosacrale.

Ritengo fondamentale l’aspetto mentale, poiché un grande pilota è colui che sa coniugare la tecnica di guida con la capacità di concentrazione e di mantenimento della lucidità per tutta la durata della gara.

Come suol dirsi “mente fredda, cuore caldo”.

7. E dietro la curva?

Mi piace pensare che dietro la curva ci sia qualcosa di bello ad attendermi.

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