Sette domande a uno skater

Ha 4 ruote e un telaio, è un mezzo di mobilità, ha colori e design spesso originali e provocatori, non si guida con le mani, ma necessita di cervello e occhi e mani e sensibilità sopraffina: che cos’è?

Se l’auto si guida con il sedere (Niki Lauda dixit), lo skate si guida con i piedi.

Lo skater è un equilibrista in movimento, lo skateboard spesso una filosofia di vita urbana.

Andrea Bertolini è un italiano che vive in Australia (niente a che vedere con il film di Alberto Sordi di 1.000 anni fa “Bello, onesto, emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata”), parliamo di un’Italia moderna, disinvolta, a casa sua nel mondo.

Figlio di torinesi a km zero, lui vive a 16.700 km da casa: lo abbiamo intervistato di passaggio da Torino.

1. Il tuo primo skate?

Il mio primissimo skateboard, ormai 18 anni fa, era una riproduzione moderna di una tavola “vecchia scuola” chiamata “penny”, molto corta e stretta, fatta in plastica gialla con ruote abbastanza grosse e larghe con carrelli stretti.

Negli anni Sessanta e Settanta si usava molto per slalom e discese, e mi sembra che mia nonna ce l’avesse regalata quando eravamo bambini a me e i miei fratelli.

2, La tua strada del cuore, o preferisci dire street?

Strada del cuore funziona, visto che anche se sono sette anni quasi che vivo in Australia la mia strada del cuore rimane a Torino, in Italia.

Piazzale Valdo Fusi è dove sono cresciuto, caduto, e rialzato, condiviso dei momenti indimenticabili sulla tavola con i miei amici torinesi, e ancora oggi anche se dall’altra parte del mondo rimangono i miei fratelli.

3. Fantasy dinner… chi inviti a cena degli eroi dello skate?

Innanzitutto, organizzerei la cena a Torino a casa di Paolo, mio padre, che si lancerebbe in acrobazie culinarie che definirei “a legendary experience”.

Tornando alla domanda, probabilmente inviterei leggende dello skateboarding come: Andrew Raynolds aka “the boss”, Dustin Dollins the OG “piss drunx”, Justin aka Figgy Figueroa e ovviamente i ragazzi con cui sono cresciuto a Torino.

Sicuramente sarebbe indimenticabile.

4. Sidney la città dove vivi, quale è la cultura dello skate laggiù, come viene vissuto dalla gente?

Lo skateboarding in Australia e Sydney in particolare è ormai ben radicato nella loro cultura essendo loro molto allineati a quella americana.

Beh, che posso dire, è un vero e proprio paradiso, la pavimentazione di quasi tutta la città è liscissima, essendo molto collinare ci sono delle discese ripide da far tremare le ginocchia e in più il governo investe costantemente migliori di dollari nel creare nuovi skatepark.

5. Skateboard e surf, analogie o differenze, culture comuni o differenti?

Culture molto differenti, anzi, ho notato a Sydney che c’è una vera e propria divisione tra i due mondi e spesso chi sta su quattro ruote evita le onde e viceversa.

Forse nel mondo del surf c’è un po’ più di competizione e attenzione alla propria forma fisica (quasi ossessiva), mentre nel mondo dello skateboarding c’è più gruppo, festa e “fancazzismo” se mi passi il termine.

Però questa è solo la mia esperienza a Sydney, non voglio neanche generalizzare.

6. Skati da solo o in gruppo?

Skateare con gli amici per me non ha prezzo, l’incoraggiarsi a vicenda, scambiare opinioni e farsi due risate rimane quello che per me rende questa una cultura unica.

Però a volte, quando non ho tempo di organizzarmi con amici non mi dispiace mettermi un bel pezzo nelle orecchie e andare da solo per la città.

7. E dietro la curva?

Dietro quella curva mi viene da sorridere, perché mi fa pensare a quando, di recente, stavo scendendo con lo skate dalle colline di Surry Hills, a Sydney, diretto all’università per presentare un lavoro che avevo salvato sul mio laptop nello zaino.

Girando velocemente, non mi sono accorto di un tombino rialzato e sono volato in avanti, atterrando di schiena proprio sullo zaino, che ha fatto un rumore bruttissimo.

Non so come, ma il computer era ancora sano e salvo: a fare quel rumore era stata una bottiglia d’acqua che avevo dentro.

Me la sono cavata solo con qualche graffio e, alla fine, la presentazione è andata anche bene.

E dietro la curva sicuramente tanta incertezza e curiosità, e queste due cose assieme creano una miscela esplosiva e imprevedibile.

Il progetto è continuare con la mia professione da graphic designer, e sarebbe bellissimo riuscire a unire questi due mondi assieme nella mia carriera professionale, rimanendo sempre con le ruote per terra (rigorosamente dello skate! ndr) e con tanta voglia di fare.

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