A proposito di libri e automobili

Qualche tempo fa, un illustre Ospite di Autologia, Ivo Alessiani, raccontando la sua generazione (“noi, che la patente l’avevamo presa a diciott’ anni”- ed erano i primi) collocava all’inizio degli anni ’60 l’apparizione di una figura definita di giornalista dell’automobile. https://autologia.net/indimenticabili-pionieri-della-professione/

In anni nei quali la nascita del mercato di massa imponeva al mondo editoriale un’attenzione nuova e richiedeva anche un giornalismo di servizio. Un’ attenzione quindi non qualsivoglia, data la complessità del mondo dell’auto, della quale era allora obbligatorio, e dovrebbe esserlo ancora, avere qualche nozione, per esempio di storia: non solo tecnica, così da non ondeggiare tra i due poli del “vaticanista” (copyright Alessiani) e del supertecnico, con rari passaggi dall’investigatore di cronaca nera, altro copyright Alessiani, che insomma indicava come via d’uscita obbligatoria “studiare, studiare”. Invito che resta valido dopo mezzo secolo e passa, visto anche quello che, sempre più spesso, si legge e si vede in rete – e non solo.

Considerazioni che si sono presentate leggendo, con un po’ di ritardo, un saggio importante come “Fordismi”, di Bruno Settis (Il Mulino) che con esso ha vinto il premio Vittorio Foa. All’attuale giornalista o blogger, aspirante o in servizio – ma anche ai giornalisti della scuola precedente – non potrebbe che far del bene l’analisi di come il fordismo si propagò dalla catena di montaggio alla società nel suo insieme, ai rapporti fra le persone e con la natura. Taylorismo e catena di montaggio imperarono nel mondo occidentale, sia nelle democrazie che nel fascismo e nel nazismo, ma anche in Unione Sovietica: se ne seguono le diverse incarnazioni, anche attraverso i casi di Renault, Citroen, Fiat. Troneggia al centro la figura di Henry Ford, che impersona molto del bene e del male del ‘900: antisemita mai pentito, megalomane utopista con la sua città “fordista” nella foresta amazzonica, ma anche indefesso nell’associare paternalismo e importanti miglioramenti di salario e welfare allo “spossessamento di ogni sapere specialistico ed alla repressione poliziesca interna”. Le reazioni del mondo culturale andarono dalla critica violenta all’adesione entusiastica (anche “da sinistra”)…Aldous Huxley temette la “riduzione all’imbecillità attraverso l’efficienza meccanica estesa a tutta la società”: profezia non avverata (?), ma resta vero che il fordismo creò nuovi bisogni e nuovi consumi e soprattutto penetrò tutti i “mondi”. Come ha ricordato Federico Rampini in occasione della morte di Barron Hilton, che trasferì lo spirito della standardizzazione taylorista e fordista nella catena alberghiera, con i suoi hotel uguali per interni, arredamento, servizio, menù, da un capo all’altro del mondo.

Una lettura, quella di “Fordismi”, che oltre a lumeggiare i tanti lati oscuri del “mestiere da giganti”, come definì Gianni Agnelli l’industria automobilistica, può aiutare le nuove generazioni di addetti ai lavori (e non) a capire da quali meccanismi dipende l’attuale estendersi della precarietà e della flessibilità dal luogo di lavoro all’intera esistenza. A voler…esagerare? Si potrebbero aggiungere altri titoli: che so, “La macchina che ha cambiato il mondo” di James Womack, sul “Lean Manufacturing” di Toyota e “Oltre Toyota” di Boyer e Frayssenet , che si occupano delle evoluzioni del fordismo negli ultimi due decenni del 20° secolo. E per imparare molte cose anche sulla storia d’Italia , il monumentale “Fiat” curato da Valerio Castronovo per il centenario…

P.S. Ad articolo scritto, leggo un pezzo di Francesco Paternò su Carblogger,it in cui si segnala il linguaggio di certi comunicati stampa, curiosamente virati verso un imprecisato “altro”… A riprova che l’epidemia è diffusa. Non a caso Paternò segnala che “conoscere il passato ispira il futuro”.

 

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