Auto e pittori

All’Accademia Tadini di  Lovere, sul lago di Iseo, ci si dà appuntamento per incontri musicali di livello e per ascoltare giovanissimi esecutori che sono già molto più che promesse. Ma quest’anno, presso l’entrata che si apre sotto i portici davanti al lago, nella facciata neoclassica,  ci si imbatterà in un incongruo mostro meccanico, accanto al quale campeggia il poster di una esposizione dedicata,  fino al 9 settembre, a Giorgio Oprandi, pittore:  che doveva avere a che fare con il mostro, a quanto pare – sotto il suo  nome sta scritto “lo sguardo del viaggiatore”. E dal poster ci scrutano gli occhi intensi di una giovanissima nordafricana, che egli dovette incontrare sull’altopiano del Garian, in Tripolitania.

Perchè Giorgio  Oprandi- che nacque a Lovere nel 1883 e vi sarebbe morto nel 1962 – dopo i suoi studi di belle  arti (alla Tadini, a Bergamo, a Roma) e dopo la guerra a disegnare rilievi topografici ma anche a dipingere vedute delle Alpi e degli alpini, realizzata la prima personale nel ’21 a Milano fu presto preda di un mal d’Africa (e dell’Oriente) che lo avrebbe posseduto per anni, come accadde a molti europei del secolo scorso.

I  primi viaggi, come quello in Algeria nel ’23, li compì aggregandosi a carovane  e spedizioni altrui: iniziò così una produzione artistica dallo stile classico, morbido e luminoso che lo avrebbe accompagnato negli anni centrali della sua carriera. Nel 1925 fu in Egitto, dove il re Fuad gli commissionò la decorazione di una stanza del suo palazzo di Alessandria:  ed è possibile  che Oprandi abbia allora sentito parlare del principe Kemal el – Din Hussein, nipote del re ed aspirante esploratore, al quale Citroen (l’abbiamo raccontato nella storia di Kégresse, in Autologia) prestò uno di quei suoi autocingolati impegnati proprio quell’anno nella Crociera Nera.

Il nostro pittore comunque concepì per conto proprio un’idea molto più light, che avrebbe chiamato “casa viaggiante”: un camper insomma, ed eccolo il mostro incontrato all’entrata, ottenuto apportando una serie di modifiche  a partire dallo chassis di una Fiat 503. Ad eseguirle, seguendo i disegni di Oprandi, fu un meccanico loverese, Antonio Adani, che avrebbe spesso accompagnato il pittore in Africa.

La Fiat 503, prodotta  tra 1926 e 1927, presentava la stessa meccanica della 501, ma con telaio più lungo e sospensioni modificate, come i quattro freni sulle quattro ruote: 1460 cc., 4 cilindri, 4 marce,  72,5 Kmh., trazione posteriore. Ma soprattutto la “casa viaggiante” fu attrezzata non solo con lo strumentario necessario per dipingere, ma con una piccola cucina ed una camera: il tetto,  all’occorrenza, diventava una barca, oltre a poter ospitare una persona. Oprandi quindi non pensava a grandi spedizioni in solitaria, ma di sicuro a percorsi fuoripista, alla ricerca di nuove prospettive, scorci inconsueti, spunti quasi  etnografici.

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Ne avrebbe ricavato materiale per un’arte che, a detta della critica, lo qualifica come “pittore delle colonie” e “capofila di un gruppo di artisti italiani che dipingono i paesaggi e gli abitanti dei possedimenti d’Oltremare”. Tematiche, stile e la“casa viaggiante”, con quel tanto di bohéme coloniale che essa portava con sé, sarebbero state parte dell’immagine di Oprandi tanto quanto le importanti relazioni  che egli costruì già a partire dal suo primo viaggio in Eritrea, nel ’27. A cominciare dal governatore locale, Gasparini, ma soprattutto da Elena d’Orléans, duchessa d’Aosta, l’ “Elena di Francia” che d’Annunzio aveva celebrato con versi non memorabili nella sesta  Canzone d’Oltremare. Grande viaggiatrice fin dai primi del ‘900, la duchessa aveva incontrato nella savana africana la Crociera Nera: e già nel 1927 avrebbe favorito la mostra fotografica dedicata ad essa e organizzata a Roma, alla quale presenziarono Citroen, Haardt e i loro equipaggi. Ma soprattutto, sempre nel novembre del ’27 la duchessa patrocinò la mostra di Oprandi presso il Museo coloniale di Roma, acquistando anche tre quadri. La visita del re e del ministro delle colonie Federzoni,  insieme alla pubblicazione nel gennaio seguente dello scritto autobiografico “Il mio vagabondaggio eritreo”, proiettarono  Oprandi in un giro di conoscenze ministeriali e di regime che i viaggi seguenti avrebbero consolidato. Tra il 1919 e il 1935 percorrerà (“alla ricerca di impressioni come fossero la selvaggina per la cena”) con la sua casa viaggiante le piste di Tripolitania, Cirenaica, Siria, Palestina e di nuovo Libia, in un andirivieni che rende i suoi spostamenti “solo approssimativamente ricostruibili dalla titolazione dei quadri” e che si alternava con mostre nazionali ed internazionali. Sarebbe poi stato frequente  l’utilizzo ministeriale delle riproduzioni delle sue opere per manifesti, illustrazioni di libri, ecc. con lo scopo di creare “uno stato d’animo di desiderio” negli italiani, che insomma si sbrigassero a popolare e “civilizzare”  i possedimenti d’Oltremare. Quindi uno stabile inserimento nell’armamentario propagandistico di regime, che però sembra arrestarsi senza una spiegazione, nel ’35: Oprandi resterà estraneo alla svolta “imperiale” della retorica di regime. Terminano anche i viaggi, a parte quello in Albania  nel 1940, interrotto per ragioni intuibili. Dopo la mostra romana che ne ricavò nel ’41, Oprandi  si ritirò nel suo studio di Bergamo, dedicandosi a esposizioni locali e, a cavallo della guerra  e subito dopo, “soprattutto a vedute di Bergamo e del Sebino interpretate con una pennellata sempre più rarefatta e nervosa”.

Tuttavia ancora nel 1948, sul Corriere di Informazione, si parla del “pittore-zingaro motorizzato” e Orio Vergani scrive di Oprandi e della sua 503 come di “un romanzo che si potrebbe chiamare “la casa a quattro ruote””. Che nel ’50 sarebbe stata sostituita da una Giardinetta (anzi, Giardiniera) Fiat, dotata di una intelaiatura sulla quale, avvolgendo la  capote, era possibile montare una tenda.

Oprandi però non dimenticò la sua casa-viaggiante, come testimonia un filmato Luce del ’55 in cui, spostandosi nei dintorni di  Bergamo, dà dimostrazione delle sue possibilità di utilizzo –  con lobbia  ed elegante cappotto, assistito da un cameriere-meccanico, a dire il vero: ma i quindici anni trascorsi dall’ultimo viaggio esotico valevano un secolo. Oggi la casa-viaggiante è di proprietà di Valentino Bellicini, che l’ha restaurata e messa a disposizione per la mostra all’Accademia Tadini, non nuova a questi accostamenti: qualche anno fa dedicò infatti una sala alle opere di Flaminio Bertoni scultore e pittore – ed alla sua  Traction Avant.  Gli aneddoti di viaggio raccontati da Oprandi in “Il mio vagabondaggio eritreo” saranno d’altronde oggetto di un reading musicale il 7 settembre.

 

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