Gli immortali “Almendrones” cubani

L’Ospite di Autologia.net: Enzo Polverigiani, giornalista.

L’Avana (Cuba) Uno degli eroi sconosciuti nei quasi quattro anni dell’assedio di Sarajevo fu in realtà un’eroina: la Volkswagen Golf, che salvò molte vite e che funzionava con tutto, anche con olio da cucina, tanto da meritarsi un monumento.

Ma dalla fine degli anni Cinquanta, in tutt’altra parte del mondo, ci sono migliaia di eroine che ancora resistono a ogni avversità e ristrettezza di un assedio economico, rifiorendo ogni volta dalle mani miracolose dei meccanici cubani che della necessità fanno virtù : sono gli “Almendrones”, i macchinoni americani cosiddetti perché a forma di mandorla, ma anche affettuosamente chiamati “vecchi baracconi”, che invece di finire nei musei dell’automobile rotolano ancora, orgogliosi, soltanto sulle strade dissestate di Cuba, con le ruote orlate di bianco, magari spennacchiando fumo nero con rumore di cocci rotti.

Sono Buick, Dodge, Chevrolet, Packard, Cadillac, Ford, Studebaker e le loro sorelle, che – con nostra meraviglia – rappresentano la metà del parco circolante cubano: circa 50 mila esemplari.
Girano come rottami in coma (poche) e luccicanti come star (moltissime). Sono icone ambulanti made in USA, ostentate beffardamente all’avversario americano che freme di rabbia oltre un semplice braccio di mare.

Ma oggi che Trump (detto Trom) ha stretto i freni, oggi che i turisti americani sono diminuiti, i taxisti proprietari degli Almendrones affrontano una nuova crisi; e invece di piangere ci scherzano su. Appoggiati davanti agli alberghi – in crisi nera anche loro – a quelle portaerei verde ramarro, crema, giallo uovo, sangue di bue, rosa confetto e azzurro cielo, che siano berline, cabrio o giardinette, sottopongono a un assedio asfissiante i turisti riconoscibili a colpo d’occhio, aspettando tempi migliori. Che in settant’anni ogni tanto si sono visti.

Era quasi il 1959, con Batista dittatore, ma all’Avana comandava la mafia di Lucky Luciano e Meyer Lansky. Era Il tempo del grande vertice dell’Hotel Nacional in cui si decideva la spartizione del business della droga, della prostituzione e del gioco d’azzardo. Con Castro e il Che ormai alle porte. Negli hotel Capri e Riviera i magnati americani imbottiti di dollari, ubriachi di rum e col sigaro Montecristo tra i denti perdevano anche le mutande. E nelle strade s’incontravano tipi simili al giocatore Robert Redford del film “Havana”, al volante di scintillanti Almendrones col sottofondo di una guaracha o di un danzón.

Poi, nella notte di Capodanno, arrivarono i barbudos e gli habaneros, finalmente liberi, spaccarono i parchimetri e ribaltarono i tavoli del Baccarat. E i mafiosi e i cubani con la coscienza sporca e le valigie gonfie di dollari scapparono in Florida sugli yacht, sulle barchette e sulle zattere. Abbandonando migliaia di macchinoni fiammanti con le chiavi sul cruscotto. Il resto è la storia infinita della guerra fredda.

E gli Almendrones? “La mia Buick, quella là, era la macchina del nonno – dice il giovane taxista Ismael Zamora, davanti all’Hotel Inglaterra, a due passi dal Floridita, la “casa del daiquiri” e dei selfie del pollo Italo-americano con la giovane gazzella cubana – indicando un’astronave verde che sembra appena uscita di fabbrica. “La maggior parte dei vecchi baracconi americani che circolano oggi sono l’eredità di padri, di nonni e anche…reliquie dei mafiosi degli anni ‘50”. Quindi, come quasi tutti i suoi colleghi, Ismael è un proprietario che paga allo Stato una tassa di quasi metà dell’incasso.
E la sua Buick è uno degli esempi del genio meccanico cubano, oltre a rappresentare un’irresistibile attrazione turistica. Ma si favoleggia di interventi di alta chirurgia meccanica e di trapianti impossibili. Di arte del bricolage e tecnica della rianimazione applicata ai motori. Gli habaneros fisserebbero anche le idee al cervello con bulloni usati…E’ proprio così?
“Non solo – conferma Ismael con una risata -. Riusciamo a farle andare con diesel e gasolina per ogni evenienza. Una magia nell’alimentazione e il gioco è fatto”. A volte si usano anche parti di frigoriferi, di lavatrici e aspirapolvere. Si assemblano carburatori russi con valvole cinesi. La cannibalizzazione, anzi, la cubanizzazione si esalta, in questi tempi di privazioni. E i taxisti si aiutano l’un l’altro.
“Sono macchine datate 1940-60. Il nonno l’aveva comprata nuova, mio padre meccanico ha rifatto il motore 26 anni fa. Adesso, a venderla, ci farei almeno 30 mila dollari. Ma nel 1990, nel periodo especial, quando se ne andarono i russi, io ero piccolissimo, Cuba se la passava peggio di adesso. Non c’erano soldi, ne’ benzina ne’ gasolio. I cubani avevano molti problemi coi trasporti. Poi, nel 2000, abbiamo cominciato a lavorare coi turisti. E un po’ di soldi sono tornati”.
Ma con la tua Buick come ti regoli? Come fai coi ricambi? “Molti pezzi che mi servono me li portano amici cubani da Miami. Maniglie e paraurti cromati, specchietti, lampade. Alla vernice e alla carrozzeria penso io. Il motore da camion è un’Avia cecoslovacco 4 cilindri 6.0, i freni a disco sono di un camion Iveco, molti dei nostri ricambi provengono da autocarri polacchi Andria, e da Fiat e Suzuki. Il cambio è originale Buick a 5 marce, il sistema dello sterzo è Nissan. Per il resto, albero motore, semiassi, ammortizzatori ecc. conosco un paio di tornitori, fuori l’Avana, che me li fabbricano. Gli interni sono rifatti interamente da tappezzieri di qui. Insomma, spesso solo il telaio è rimasto quello originale”.
E quindi, Ismael, oggi si lavora? “Ci sono clienti di tutti i paesi, un po’ meno americani perché Trom ha dato un altro giro di vite. Ma è proprio questa la soddisfazione: farsi pagare dagli americani per scarrozzarli sul Malecón con le loro macchine abbandonate e che noi abbiamo fatto passare dal chirurgo estetico…” E quanto? “Trenta dollari per un’ora su una berlina, sessanta su una cabriolet. Trattabili, naturalmente, poi arrivano le tasse al governo, l’assicurazione tutto il resto: è questo che ci massacra”.

PS. Oggi tutto questo si è dissolto, come le ballerine del Tropicana, la ressa a El Floridita, o la cura del daiquiri. Nell’Avana Vieja, desertificata al tempo del coronavirus, ci sono solo palme e desolazione. Sono spariti anche i turisti “portatori d’infezione” nonché di dollari. E Cuba, il “Coccodrillo verde” stavolta rischia seriamente di affondare.

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