Northvolt in panne, il sogno europeo delle batterie inciampa ma (forse) non si ferma

Chi ha detto che le batterie non si scaricano mai? Non di certo Northvolt, l’azienda svedese dal nome evocativo, un tempo simbolo della rinascita industriale europea che, ironia della sorte, sembra essersi trovata a corto di energia. Il 21 novembre, con un drammatico colpo di scena (degno di una serie TV scandinava) ha annunciato di aver chiesto protezione fallimentare negli Stati Uniti. Una doccia gelida per l’Europa, che sperava di fare il pieno di autonomia tecnologica e sganciarsi dal monopolio delle batterie cinesi.

Secondo i documenti depositati presso la corte fallimentare di Houston, Northvolt ha dichiarato che le sue finanze sono “disastrose” questo termine non proprio tecnico utilizzato dai manager. Con appena 30 milioni di dollari in cassa e un debito che sfiora i 5,8 miliardi di dollari, è chiaro che le cose non stanno andando come previsto. Per ora, un prestito lampo di 100 milioni di dollari da parte di Scania consentirà all’azienda di tirare avanti, ma solo per non più di una settimana. Nel frattempo, i creditori aspettano sulla soglia.

Northvolt non era solo un’azienda, era l’alfiere della battaglia europea per ridurre la dipendenza da giganti cinesi come CATL e BYD. Volkswagen, uno dei principali investitori, detiene una quota del 21 per cento, ma al momento sembra più interessata a schivare domande imbarazzanti che a difendere il progetto. Non che Wolfsburg se la passi meglio: tra crisi interne e tagli al personale, anche la casa tedesca ha il suo bel carico di problemi.

E pensare che – solo pochi mesi fa – Northvolt veniva celebrata come il “faro” dell’industria europea delle batterie. Un’azienda pronta a rivaleggiare con i giganti asiatici, forte di 6.600 dipendenti sparsi in sette Paesi e una serie di progetti ambiziosi. Oggi quel faro sembra più una candela tremolante.

La crisi di Northvolt è uno schiaffo in faccia al settore automobilistico europeo. Con la domanda di auto elettriche che cresce a ritmo di lumaca e la Cina che domina con l’85 per cento della produzione globale di celle per batterie, è sempre più evidente che la transizione verde è più un sentiero impervio che una larga autostrada.

E non aiuta il fatto che i veicoli elettrici, pur vantando un’anima ecologica, restano economicamente poco attraenti per molti consumatori. Anche con i prezzi in calo, le auto elettriche devono competere con motori termici ancora ben saldi sul mercato, soprattutto in Paesi dove incentivi e infrastrutture per la ricarica sono più un miraggio che una realtà.

Mentre Northvolt arranca, il governo svedese ha dichiarato il proprio supporto, anche se non troppo caloroso. Il vice primo ministro Ebba Busch sembra abbia affermato che lo stato è interessato al futuro delle batterie, ma i fatti dimostrano non abbastanza da metterci i soldi dei contribuenti. Nonostante i grandi proclami, l’idea di acquisire una partecipazione diretta nella società non è neppure sul tavolo. Insomma, un po’ di incoraggiamento morale e qualche pacca sulla spalla: meglio di niente, ma non proprio ciò che servirebbe per ribaltare la situazione.

Nel frattempo, investitori e analisti si interrogano sul futuro. La procedura fallimentare potrebbe offrire a Northvolt un po’ di respiro per mettere ordine nei conti, ma trovare nuovi finanziatori sarà come cercare aghi in un pagliaio.

Nonostante il caos, Northvolt spera ancora di completare la ristrutturazione entro il primo trimestre del 2025. Nel frattempo, la società continuerà le operazioni, provando a convincere i mercati di essere ancora una scommessa valida. Una sfida titanica, considerando che il fallimento ha minato la fiducia di clienti e investitori.

La lezione più grande, però, è per l’Europa intera. La dipendenza dalle batterie cinesi è un problema enorme, ma creare un’alternativa locale si sta rivelando un’impresa quasi impossibile. Se Northvolt non riuscirà a risollevarsi, il sogno di un’industria europea delle batterie potrebbe trasformarsi in un incubo da 5,8 miliardi di dollari. E i giganti asiatici, nel frattempo, non possono che osservare compiaciuti, mentre celebrano la loro supremazia globale.

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