2035 avanti tutta con l’elettrico e le multe ma senza un piano B

L’industria automobilistica europea si trova ad affrontare uno dei momenti più cruciali della sua storia. Con l’obiettivo dello stop alla vendita di auto a combustione interna fissato (o forse non ancora… chissà?) per il 2035, il settore è in fermento e non mancano le preoccupazioni. Tra l’impegno per il clima e il rischio di perdere competitività, il futuro si gioca su un delicato equilibrio di sostenibilità, innovazione e occupazione.

Attualmente, il comparto automobilistico rappresenta circa il 7 per cento del PIL europeo, dando lavoro a 13 milioni di persone. Tuttavia, la transizione verso l’elettrico sta procedendo a rilento. Nei primi dieci mesi del 2024, le vendite di veicoli elettrici nell’UE sono diminuite del 4,9 per cento, mentre le ibride sono cresciute del 19,8 per cento, dimostrando che i consumatori preferiscono ancora una soluzione intermedia.

Secondo un report dell’ACEA, i veicoli elettrici coprono solo il 12,6 per cento del mercato europeo, con l’Italia ferma a meno del 4 per cento. Questo gap tra obiettivi climatici e realtà del mercato pone una pressione significativa sui produttori europei, che rischiano sanzioni milionarie per il mancato rispetto degli standard sulle emissioni. Le attuali norme prevedono multe di 95 euro per ogni grammo di CO2 oltre i limiti, moltiplicato per il numero di veicoli venduti. Per i grandi gruppi, si parla di cifre che potrebbero raggiungere i 15 miliardi di euro.

In questo contesto, l’Italia ha proposto, insieme con la Repubblica Ceca e altri cinque Paesi, di anticipare dal 2026 al 2025 la revisione delle normative sulle emissioni. L’obiettivo è garantire maggiore sostenibilità per le imprese, mitigare i rischi occupazionali e favorire l’innovazione tecnologica.

“Abbiamo davanti un bollettino di guerra, con chiusure e la rinuncia a progetti. È fondamentale cambiare la politica industriale europea” ha dichiarato il ministro per le Imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso. La proposta italiana si articola su tre pilastri principali:

  1. Fondi per la transizione: supportare le imprese, come già avviene negli Stati Uniti, con incentivi significativi.
  2. Neutralità tecnologica: includere, oltre ai veicoli elettrici e a idrogeno, altre tecnologie come i carburanti sostenibili.
  3. Misure contro la concorrenza sleale: affrontare l’espansione aggressiva delle case automobilistiche cinesi, che dominano il mercato elettrico con prezzi competitivi.

Il panorama globale aggiunge ulteriori complessità. Marchi cinesi come BYD, Dongfeng e Geely stanno investendo pesantemente in Europa, non solo con l’introduzione di modelli innovativi, ma anche aprendo stabilimenti locali. Per esempio, BYD ha recentemente annunciato il suo primo impianto in Ungheria, mentre altri produttori stanno esplorando opportunità in Germania e Spagna. La strategia cinese non si limita all’elettrico puro ma abbraccia anche soluzioni come i modelli ibridi plug-in, che vantano autonomie combinate superiori a 1.300 chilometri.

“Le case automobilistiche europee si trovano schiacciate tra gli obiettivi climatici e una concorrenza spietata” ha commentato la presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen. Il Green Deal europeo punta a una riduzione delle emissioni del 55 per cento entro il 2030 e alla neutralità climatica entro il 2050. Tuttavia, alcune deroghe sono previste per i piccoli produttori e i veicoli alimentati con e-fuel. Questo margine di flessibilità potrebbe avvantaggiare marchi di nicchia come Ferrari e Lamborghini, ma non risolve i problemi strutturali di un’industria in difficoltà.

Recentemente, alcune novità hanno ulteriormente complicato il quadro. La Commissione Europea ha annunciato un piano di investimenti per potenziare la rete di infrastrutture di ricarica, con l’obiettivo di installare un milione di colonnine entro il 2027. Inoltre, si sta valutando un incremento delle sovvenzioni per l’acquisto di veicoli elettrici, con particolare attenzione alle fasce di reddito medio-basse. Tuttavia, non tutti i Paesi membri hanno accolto positivamente queste proposte, sottolineando la necessità di interventi più mirati per il settore industriale.

Nel frattempo, il settore tecnologico sta facendo passi avanti. Alcune startup europee hanno presentato soluzioni innovative per ridurre il costo delle batterie, tra cui l’utilizzo di materiali alternativi come il sodio. Questi sviluppi potrebbero ridurre la dipendenza dell’Europa dalla Cina per la fornitura di litio e altri metalli rari, migliorando al contempo la sostenibilità della filiera.

La transizione ecologica europea non è solo una sfida industriale, ma un banco di prova per il futuro economico e sociale del continente. La richiesta di rivedere le normative entro il 2025 rappresenta un tentativo di bilanciare sostenibilità ambientale e competitività economica. Ma senza un intervento deciso e concertato, l’Europa rischia di perdere non solo posti di lavoro ma anche il suo primato industriale. Nonostante gli sforzi per trovare un equilibrio tra sostenibilità e competitività, alcuni analisti sollevano dubbi sulla reale efficacia di queste strategie. La transizione ecologica, così come è stata progettata, rischia di gravare eccessivamente sulle economie europee senza garantire i risultati sperati in termini ambientali e sociali.

Anticipare la revisione al 2025 potrebbe non bastare a colmare il divario tecnologico e di competitività rispetto a potenze come Cina o Stati Uniti. Inoltre, puntare sulla neutralità tecnologica potrebbe diluire gli investimenti necessari per sviluppare una rete di infrastrutture adeguata al pieno passaggio all’elettrico, rallentando ulteriormente la transizione.

E poi c’è il nodo della domanda: i consumatori europei continuano a preferire le ibride alle elettriche, complice il costo elevato di queste ultime e l’insufficienza di incentivi. In un mercato dove i veicoli elettrici rappresentano solo una fetta marginale delle vendite, è legittimo chiedersi se l’Europa non stia inseguendo un traguardo troppo ambizioso, con il rischio di compromettere l’intera filiera.

In definitiva, l’industria automobilistica europea si trova di fronte a una corsa contro il tempo, ma con troppe variabili ancora in gioco. La transizione verso il 2035 è una sfida epocale, ma senza un ripensamento più ampio delle politiche industriali e ambientali, l’Europa rischia di sacrificare la propria leadership industriale sull’altare della sostenibilità.

0 commenti

Lascia un Commento

Vuoi partecipare alla discussione?
Sentitevi liberi di contribuire!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *