Pedaggi, panini e vacanze: l’Italia raccontata dalle autostrade

Immaginate l’Italia del dopoguerra: una nazione a pezzi ma con il cuore che batte forte e i sogni che corrono, molto più veloci delle biciclette che quasi tutta la popolazione utilizza come mezzo di trasporto. Un Paese di strade polverose quasi tutte bianche, di pochi autobus e di ancor meno autovetture che circolano. È in questo scenario che prende vita un’idea visionaria: “E se costruissimo un’autostrada che unisce il Nord al Sud?”. A vederlo adesso non era un pensiero folle, ma la necessità pratica e l’ambizioso desiderio di unire un Paese che assomiglia a uno spaghetto molto lungo, che le Alpi isolano dal resto d’Europa e con gli Appennini che rendono complicato il passaggio dall’Adriatico al Tirreno.

In realtà, la storia delle autostrade in Italia (e nell’intero pianeta) ha un precedente, decisamente importante, che risale a quasi trent’anni prima del boom economico. Infatti, correva l’anno 1924 quando il mondo conobbe la prima autostrada.

Era il 21 settembre di quell’anno – poco più di cent’anni fa, quindi – quando re Vittorio Emanuele III a Lainate tagliò il nastro per l’inaugurazione del primo tratto (da Milano a Varese, oggi conosciuto come A8) di quella che in seguito diventerà l’autostrada dei Laghi, la prima a pedaggio in Italia.

Questo tratto contende con la Long Island Motor Parkway a New York, la Automobil Verkehrs und Übungs-Straße di Berlino e la Bronx River Parkway nello stato di New York il primato di prima autostrada al mondo. Di sicuro c’è il fatto che per l’epoca si trattava di un’opera visionaria, fortemente voluta dall’ingegnere, imprenditore e costruttore milanese Pietro Puricelli, conte di Lomnago, che anticipò il moderno sviluppo infrastrutturale del nostro Paese, che avrebbe conosciuto un boom nel dopoguerra.

Con un salto di tre decenni arriviamo negli anni Cinquanta, quando l’Italia si trasformò in un cantiere a cielo aperto. Mentre le Fiat 500 invadevano le strade sempre più asfaltate, il traffico cresceva a dismisura e prese forma l’idea di una rete viaria nazionale. Il 4 ottobre 1964 – poco più di 60 anni fa, quindi – dopo otto anni di lavori e 500 ponti costruiti, venne inaugurata la A1, meglio nota come autostrada del Sole. Il re non c’era più e il protagonista del taglio del nastro fu Aldo Moro, allora presidente del Consiglio.

Un tracciato epico, che attraversa montagne, colline e pianure, un’arteria che pulsava e da allora collega Milano a Napoli, il Nord al Sud e viceversa. Ogni estate intere famiglie stipate nelle piccole utilitarie, che potevano permettersi anche gli operai, sfidavano salite e code per raggiungere le desiderate spiagge. L’autostrada era sinonimo di libertà, ma anche di panini al salame mangiati in macchina e magari di litigi per sedersi davanti.
Ben presto il panino divorato in auto non bastò più e con il crescere del potere d’acquisto nacque un altro dei simboli del viaggio degli italiani: gli autogrill. A partire dagli anni Sessanta, questi luoghi (o meglio non-luoghi, come avrebbe potuto definirli il filosofo Marc Augé che nel 1992 inventò questa espressione) sono diventati un mix di gastronomia, antropologia e, soprattutto in questi ultimi anni, di “attacco al portafoglio”. Dal mitico Camogli alle acque minerale che costano più dello champagne, gli autogrill sono diventati una tappa obbligata dove camionisti, famiglie in viaggio e turisti tedeschi si incontrano in un tripudio di prodotti costosi e ai quali sembra di non poter fare a meno.

Oggi l’Italia vanta una rete autostradale di oltre 6 mila chilometri, e i problemi non mancano. Traffico elevato, pedaggi sempre più cari, senza dimenticare purtroppo le tragedie, come quella del ponte Morandi a Genova. Oggi per raggiungere Napoli partendo da Milano sono necessarie in teoria poco più di 7 ore (tappe in autogrill, lavori in corso e code a parte) per percorrere i 780 chilometri che separano le due città, per un pedaggio di circa 60 euro – cui va aggiunto ovviamente il carburante. Un importo ben più elevato rispetto ai tempi in cui si pagavano poche lire per percorrere lunghi tratti. Per esempio, negli anni Ottanta il pedaggio della tratta Milano-Bologna era di circa 5 mila lire, pari più o meno a 2 euro e 50 centesimi. Oggi siamo intorno ai 17 euro, quasi sette volte tanto. E il costo attuale è molto elevato anche in confronto con quelli di altre nazioni: basti per esempio ricordare che in Svizzera la vignetta valida per un anno su tutti i tratti autostradali elvetici costa 40 franchi, circa 42 euro.

In tutto, e quindi anche nell’aumento sconsiderato di prezzi e tasse, le autostrade italiane raccontano la nostra storia: fatta di sogni, fatica, promesse non mantenute dai politici e qualche ritardo in coda.

E quindi, cari viaggiatori su ruota, che siate amanti delle mitiche 500 o alla guida di un SUV, le autostrade italiane non sono solo strisce di asfalto, ma veri palcoscenici della nostra vita. Ogni pedaggio pagato, ogni coda estiva, ogni panino mangiato negli autogrill che odorano di formaggio squagliato sulle piastre è parte di un’epopea che ci unisce. Perché, diciamocelo, siamo un popolo che sogna in grande, anche quando finisce a litigare per chi deve sedersi davanti. Quindi la prossima volta che imboccherete il casello dell’autostrada del Sole o entrerete in un autogrill e pagherete 3 euro per un caffè neppure troppo buono, ricordatevi che state contribuendo alla storia d’Italia.

L’immagine di questo articolo è © di Archivio Fotografico Storico Autostrade per l’Italia

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