SETTE DOMANDE A… – Jacky Ickx a microfono, e cuore, aperto

Uno dei più grandi piloti della storia cela un’anima riflessiva e sagace. In un dialogo intimo, Ickx racconta come la Dakar abbia cambiato la sua visione della vita, tra incontri, crescita personale e il valore delle persone che segnano il destino di ognuno. Un racconto che va oltre la velocità e scopre la lentezza del riflettere sulla propria storia personale

A ripensarci Jacky Jckx ha i modi e i tratti di un divo americano, un attore di Hollywood, un Harrison Ford con charme e distacco, con la voce ispirata. E invece è stato un grande pilota, versatile e polivalente, due volte secondo nella classifica mondiale di Formula 1 e vincitore di 8 Gran Premi, sei volte primo assoluto alla 24 ore di Le Mans. Si è anche aggiudicato la Parigi Dakar del 1983, lo stesso anno in cui vinse il Campionato del Mondo Sport Prototipi su pista. È considerato uno dei migliori piloti a non aver mai vinto il campionato del mondo di F1, al pari di Stirling Moss, Ronnie Peterson e Gilles Villeneuve.

Motociclista agli albori della sua carriera e appassionato di ciclismo, si allenava con un altro grande belga suo coetaneo, un signor nessuno, un certo Eddie Merckx.

Di lui Enzo Ferrari (nel libro “Piloti che gente…”) diceva: “Ickx è un connubio di ardimento e di calcolo. Qualche suo atteggiamento – che gli valse fra i miei collaboratori l’appellativo di Pierino il terribile – non mi ha cancellato il ricordo di un ragazzo cresciuto in fretta e l’impressione di quella sua guida fine e temeraria sotto la pioggia”.

Con lui ho avuto una lunga piacevole conversazione durante la Dakar e ne è nata una articolata intervista (qui): quando la nostra chiacchierata ufficiale è terminata, ho tenuto il microfono aperto e abbiamo iniziato a dialogare meno ufficialmente della Dakar. In questa seconda parte di chiacchierata, proposta ora, i toni di Ickx sono decisamente meno formali e, a tratti, di un saggio ispirato.

1 – Parliamo della Dakar…

La Dakar è una battaglia, non è un posto dove fai regali, la sola idea che devi avere in mente è essere uno dei migliori e vincere. Quando scopri una corsa come la Parigi-Dakar, negli anni Ottanta e per fortuna esiste ancora oggi, la vita ti cambia. Certo da allora sono diversi la società e il mondo intero, ma quella che definirei la filosofia della corsa è rimasta la stessa. Mi piace pensare che prima di correre la Dakar avevo una visione della vita ristretta. Dopo aver partecipato, con la possibilità di vedere un altro tipo di esistenza, con gente che vive in maniera diversa dalla tua per cui la solidarietà del vivere insieme è una necessità umana, ora penso che la mia visione sia più completa, a 180°. Intellettualmente ho fatto un balzo in avanti prodigioso: oggi ho la facoltà di vedere con occhi differenti le cose di ieri, le cose di oggi, ma soprattutto di vedere la gente.

2 – E voltandosi indietro che disegno vede della sua vita?

Quello di una generosità incredibile, e quello della nostalgia delle persone che hanno reso tutto questo possibile. Oggi amo guardare la gente (e lo dice guardando negli occhi l’interlocutore, nda). Amo essere qui per la condivisione, ci sono persone che provengono da tutti gli orizzonti, da tutti i Paesi, ma hanno un punto in comune: hanno scoperto di avere una storia personale nella Dakar, e poco importa se sei cronometrista o pilota.

3 – Sembra un autore di testi quando parla…

Sinceramente non so se lo sono (sorride), so soltanto che ti devi rendere conto che nella vita una persona non vale più di un’altra. Forse nella nostra mentalità occidentale è un po’ così, crediamo che qualcuno abbia un peso specifico maggiore di altri, ma la vera vita è piccola così (fa il gesto con il pollice e l’indice) e non abbiamo tempo da perdere, perché nulla va bene in questo mondo.

4 – Ma questo per lei è un punto di arrivo o era già così prima?

La pagina che ha dato una svolta alla mia vita è stata proprio la Dakar. Mi rendo conto che è difficile da spiegare. Mi puoi dire che ho avuto tutto: le moto, la Formula 2, la Formula 1, Le Mans… tutto questo non esiste più nel deserto. Certo, ho avuto un “ritorno” da tutte quelle esperienze passate, ma non è questo che conta. Quello che importa veramente è la gente intorno a te, altrimenti non sei nulla, e questo vale per le vite di tutti. Sono impressionato dalle persone che affermano sicuri “volevo fare questo e l’ho fatto, mi sono fatto da solo…”. Non è così, sono le persone che incontri sulla tua strada a cambiare il tuo destino, perché se vai a sinistra percorri una strada, ma se incontri qualcuno e vai con lui a destra è un’altra strada, un’altra vita. Ed è un concetto importante quando sei nel deserto, che non è mai vuoto e dove ti credi grande, ma non sei nulla.

5 – Riflessioni che sembrano una sorta di flusso di coscienza…

Sono cosciente di essere alla fine della mia storia perché la strada che mi è rimasta da percorrere è poca, molto poca, e quindi il tempo ha ancora più valore. E poi mi rendo conto di aver bisogno della salute perché quando arrivi nella fase finale della vita è un fattore determinante. Io ho 80 anni e fortunatamente sono in buona forma, posso camminare, la testa funziona. Ma il resto della vita è una spada di Damocle, domani non sai… può darsi che finisca tutto, perciò ogni giorno ha importanza e valore. Ma non invento nulla di nuovo, praticamente tutti i filosofi greci e romani hanno già scritto di questi temi, non è una novità.

6 – È davvero sorprendente che un pilota di Formula 1 parli così.

È la quadratura del cerchio, non riflettiamo abbastanza sull’enorme opportunità che ci è stata data di essere al mondo, dovremmo essere riconoscenti di questo miracolo. Di solito non parlo di automobili – lo faccio solo di tanto in tanto perché sono brand partner di Genesis (marchio del gruppo Hyundai, nda) e sono racing advisor del loro programma. Ma se mi chiedessi qual è la vittoria che ho preferito, risponderei che non è la vittoria, sono le persone che l’hanno resa possibile. Paradossalmente non è Colin Chapman ma è Peter Warr, il suo numero due, o quando correvo per John Wyer era David Yorke: gente forse meno conosciuta al pubblico ma per me fondamentale.

7 – Come dire che spesso i numeri due sono migliori dei numeri uno…

Beh, allora sono contento di essere stato un numero due, ho fatto tutto lo stesso e sono maturato, col tempo sono diventato un’altra persona, ho percorso un cammino di crescita che mi ha soddisfatto. Sono convinto che l’uomo è una macchina incredibile e le persone siano formidabili, anche se purtroppo siamo governati da personaggi che non vivono il quotidiano della gente. Secondo me quelli che ci governano non soffrono mai delle loro decisioni, non hanno alcuna idea.

Finisce così, con una nota amara, la chiacchierata con Jackie Ickx, sorprendentemente molto sul personale per uno dei piloti più emblematici nella storia del Motorsport.

Ci salutiamo.

Magari Ferrari ci guarda da lassù” gli dico mentre gli porgo la mano per stringere la sua. “Sicuro – risponde prontamente – spero soltanto che abbia il tempo di farlo, perché è molto occupato con i tutti suoi piloti”.

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