Claudio Bortoletto, un grande uomo che ha segnato la mia vita da giornalista

Ci sono incontri che ti cambiano. Il mio con Claudio Bortoletto è stato uno di quelli.

Lo conobbi per la prima volta in un parco assistenza, al Rally della Lana a Biella, io giovane cronista pieno di sogni, inviato per Rally Report, allora diretta da Gianni Bertizzolo. Claudio, invece, era già un punto fermo, il carismatico team manager della leggendaria Scuderia milanese Jolly Club.

Mi presentai con il rispetto e l’emozione che si devono ai grandi. Mi tese la mano con un sorriso serio e mi disse una frase che non ho mai dimenticato: “Ben arrivato. Scrivi quello che vedi, non quello che ti raccontano”.

Era la sua lezione più importante, arrivata al primo incontro. Era anche, forse, il miglior consiglio che potessi ricevere. Erano gli anni della Lancia 037, un’auto che faceva tremare l’asfalto e il cuore degli appassionati. Una squadra di fuoriclasse guidava quei bolidi: Miki Biasion, Carlo Capone, Adartico Vudafieri, Andrea Zanussi, Dario Cerrato, Antonella Mandelli, Yves Loubet. La livrea bianco-verde-arancio era un simbolo, un marchio che incuteva rispetto. E dietro tutto questo, sempre, c’era lui: Claudio.

Passai a scrivere per Autosprint diretto da Carlo Cavicchi, e i nostri incontri si fecero più frequenti. Seguivo sia l’Italiano sia l’Europeo rally. Si passò a correre con la Lancia Delta nelle svariate configurazioni.

Claudio era sempre in giro con i suoi ragazzi. Non faceva distinzioni: meccanici, ingegneri, piloti, giovani giornalisti – per lui eravamo tutti parte di una grande famiglia. Controllava ogni dettaglio, si assicurava che tutto funzionasse come un orologio. Terminata la collaborazione con Autosprint ho avuto il privilegio di lavorare al suo fianco, come addetto stampa della Scuderia Jolly Club, ingaggiato dal suo amico Renzo Magnani. Un’avventura straordinaria, basata sulla reciproca stima e fiducia, iniziata nei campionati italiano ed europeo con Dario Cerrato e giovani promesse come Alex Fiorio, Alessandro Fassina, Paolo Andreucci e Andrea Aghini. E poi, terminata nel mondiale, con nomi leggendari: Auriol, Kankkunen, Recalde, Waldegaard, Bugalski, Loubet, Sainz e anche Cunico. Avventure raccontate grazie agli sponsor Totip, Fina, Martini e Repsol.

In un’epoca con cellulari che sembravano cabine telefoniche, la sua auto viaggiava con tre radio accese su frequenze diverse. Più una di scorta, “non si sa mai” diceva. La sua vettura era inconfondibile: bianca, sempre lucida, pulita anche dopo i tratti più duri di sterrato. A seconda della gara, aveva da quattro a sei antenne sul tetto. Quando arrivava al parco assistenza, attirava più curiosi della stessa vettura ufficiale. Una lisciata ai baffi, la sigaretta, la biro in una mano, il taccuino nell’altra, cappellino dello sponsor in testa e via: si ripartiva per portare a casa un altro risultato.

E che risultati! Oltre 160 vittorie, 6 titoli italiani, 3 europei, 1 mondiale. Quella vittoria iridata – l’ultima della gloriosa storia di Lancia – porta anche la sua firma. All’epoca Claudio era Team Principal del Martini Racing. Aveva appena 40 anni.

Nel 1994 si chiuse quella bellissima esperienza e tornai in redazione, grazie ai consigli di Claudio, questa volta a Torino alla corte di Nanni Barbero. Mi occupai di TuttoRally insieme al mitico Andrea Cordovani e in seguito a TuttoPista. Resistetti tre anni poi fui chiamato da Simone Migliarino, direttore della comunicazione della Fiat, ad occuparmi dell’Ufficio Stampa dell’Alfa Romeo prima negli uffici di Arese, poi in corso Marconi, Lingotto, Mirafiori. E con Luca De Meo collaborai al rilancio dell’Abarth. Il nostro pilota di punta era Giandomenico Basso.

Con Claudio di vedevamo poco, sporadici incontri a Roma negli uffici di ACI Sport, ma la nostra amicizia non è mai venuta meno. Tante telefonate, tante storie, tanti ricordi.

Oggi Claudio ci ha lasciati. E in cuor mio so che lassù ha già ritrovato Roberto, il “Boss” del Jolly, e sua madre, la signora Renata Angiolini. Li immagino di nuovo insieme, a discutere di strategie, di gare, di sogni da realizzare. Con la solita passione, la solita classe, la solita famiglia.

Grazie Claudio. Per le corse, per le parole, per l’esempio. Ma soprattutto, per l’uomo che sei stato.

Nella foto ACI Sport, Claudio Bortoletto ad una riunione di ACI Sport

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