Ho conosciuto Sergio Marchionne: un uomo fuori dal comune

di Alfio Manganaro

Era il 2004 ed eravamo messi proprio male. A maggio era morto anche Umberto Agnelli e la lotta per la successione era serrata. Gli AD si susseguivano ad un ritmo mai visto. L’ultimo, Morchio, stava tentando un colpo di mano per prendere tutto il potere, proprio di fronte al feretro di Umberto, quando il ventottenne vicepresidente John Elkann e il presidente Montezemolo nominano CEO un certo Sergio Marchionne.

Di lui sapevamo poco e subito ci venne da pensare che fosse l’ennesimo tentativo prima di finire definitivamente nel baratro.

Era strano questo personaggio, di poche parole e un po’ burbero, ma con un buon senso dell’ironia. Si sparse la voce che lui, appena poteva si metteva a girare in azienda senza cravatta e senza una meta e che gli piaceva entrare negli uffici e chiedere a brucia pelo a chi aveva di fronte che cosa facesse in azienda e quali consigli aveva da dare per migliorarla. (…fu così che scoprì, fra gli altri, Luca De Meo, allora al marketing Lancia)

Probabilmente non è esagerato definirlo un genio della finanza, e personalmente sono dell’avviso che senza di lui l’azienda sarebbe fallita in poco tempo (…e vedremo adesso cosa capiterà).

Lui prese tre decisioni fondamentali che dettero la svolta: la rinuncia all’esercizio della put option a General Motors che fece incassare al Lingotto 1,55 miliardi; il convertendo, stipulato con le principali banche italiane; il discusso swap Ifil Exor che consentì alla Famiglia di mantenere il controllo della Fiat. Intanto il mercato europeo si riprese e alcuni modelli ben posizionati contribuirono ad alzare la redditività del Gruppo.

Ma il colpo di genio fu l’acquisizione dell’americana Chrysler fallita nella crisi del 2008: il 20 gennaio 2009 Fiat annunciò un accordo con l’amministrazione Obama appena insediata, per entrare gradualmente nel capitale  della casa automobilistica americana. Così salvò la Chrysler, ma soprattutto la Fiat.

All’inizio parlava come un “socialista”, era convinto che i costi di produzione non fossero determinati dai costi della manodopera che incideva solo per il 9%. Cambiò idea e modo di ragionare anche a causa della rigidezza della Fiom, sempre e comunque “contro”.

Personalmente non posso dimenticare una serie di episodi che mi hanno permesso di avere a che fare con lui personalmente, come la partita a poker, dove si giocavano “fantamilioni” persi o vinti da manager, sui collaboratori più stretti, con le fronti imperlate di sudore per la tensione e per l’avversario che avevano davanti, sul suo aereo mentre si rientrava a Torino dopo avere ritirato un importate Premio giornalistico assegnato alla Cinquecento.

Oppure quando a un Salone di Ginevra, incontrò sul nostro stand l’allora direttore di Quattroruote Mauro Tedeschini, che per rompere l’imbarazzo del momento fece una battuta: “Ahh dottor Marchionne è tanto che volevo chiederle un’intervista, ma il qui presente Manganaro non vuole…” Io arrossendo feci un passo indietro in segno di rispetto, ma lui mi bloccò dicendomi: “Non si allontani Manganaro, io so tutto di lei anche se il suo capo (che era al suo fianco) la tiene nascosta”. Un brivido mi corse lungo la schiena, perché il personaggio non era uno qualunque. Tanti altri piccoli episodi, come quando in mensa parlava liberamente di politica contro chi era al governo al momento.

Episodi che hanno concorso a costruire un’immagine del “Dottore” tutta mia, nel bene ma anche nel male. Diceva che chi comanda in modo assoluto, come faceva lui, è sempre solo. E chi è solo ogni tanto sbaglia e a pagare sono gli altri. In effetti, se vogliamo, anche trovare dei difetti in Marchionne, bisogna dire che spesso ha sbagliato nella scelta dei suoi collaboratori, allontanando degli “uomini” e tenendosi dei “caporali”.

Recentemente era molto stanco, ma aveva ancora due sogni: il pareggio di bilancio alla fine di quest’anno e la vittoria del mondiale per la Ferrari. Purtroppo non riuscirà a vedere ne uno ne l’altro.

La sua morte così prematura e quindi ingiusta, farà comunque di lui un “mito” che resterà vivo nel tempo, non è una consolazione da poco.

Ha fatto veramente tanto per la Fiat e giustamente ha anche guadagnato molto. E adesso, come in questi casi accade, tornerà il ritornello del becero popolino: “…tutti i soldi che ha non gli sono serviti a niente”.

Pare che sia proprio così. Ricordiamocelo.

 

 

 

 

2 commenti
  1. Renat Ronco
    Renat Ronco dice:

    Una testimonianza che solo chi ci ha lavorato accanto poteva fare di questo grande, anche se discusso, personaggio che ricostruito un impero che stava fallendo.

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