Cosa c’è da imparare dalla Formula E

Il campionato mondiale di Formula E è sbarcato a Parigi, realizzando un sogno vanamente inseguito per anni dalla Formula 1: portare le monoposto sulle strade della capitale francese. C’è stato un progetto concreto e persino Jean Graton, il disegnatore dei fumetti di Michel Vaillant, si era sbizzarrito con un’edizione speciale del Gran Premio di Francia lungo gli Champs Elysées. Il sogno impossibile è divenuto realtà, pur se sull’altra sponda della Senna, grazie alla maggiore agilità dell’intero apparato della Formula E. Che può utilizzare piste più compatte e, soprattutto, muove molti meno uomini e mezzi. La comunque splendida cornice dell’Hotel des Invalides, non troppo lontano dalla sede della FIA, ha suggellato un sicuro successo per la categoria delle monoposto elettriche.
Siamo dell’idea che queste gare siano pur sempre una specie di surrogato dei Gran Premi più belli della storia, anche per via di prestazioni e velocità limitate, tuttavia ci sono molte cose che la Formula 1 dovrebbe imparare dalla categoria.
Se per motivi organizzativi è impossibile pensare di poter portare Mercedes, Ferrari, Red Bull & C sull’asfalto del centro di Parigi, Londra, Berlino o Pechino, è perlomeno concreto pensare anzitutto a uno svolgimento più lineare delle gare. Come nella MotoGP, non è difficile seguire gli ePrix della Formula E in maniera chiara e inequivocabile. Non si perde il filo della gara neppure con l’obbligatoria fermata ai box per cambiare monoposto, che pure è un tallone d’Achille (anche mediatico) per via della limitata autonomia delle vetture.
Il pubblico segue e capisce facilmente chi è al comando senza le alchimie delle tattiche imperniate su un diverso numero di fermate per cambiare le gomme che rende le corse più simili a una partita a scacchi che a una competizione dinamica. Lo spettacolo è garantito da spazi di manovra ridotti e da un potenziale simile tra le varie monoposto, con battaglie vere per la posizione senza tanti inutili sorpassi che nella categoria regina inducono più a confusione che reale spettacolo. La corsa dura 50 minuti, quasi tutti ricchi d’azione e di potenziali colpi di scena. Prima, dopo e a volte anche durante l’ePrix, tutti i piloti sono a disposizione per le interviste di rito senza sembrare imbavagliati come i colleghi della Formula 1, ultimamente purtroppo preparati a snocciolare banalità pur di non urtare la sensibilità degli sponsor e degli uomini del marketing.
A Parigi le monoposto elettriche hanno fatto il tutto esaurito, con 15.000 biglietti andati a ruba anche perché il prezzo di 28 euro è certamente più abbordabile di quello richiesto per un posto in tribuna a Monza o a Montecarlo. Tutto questo senza trascurare che anche il pubblico a casa viene coinvolto tramite la rete con le votazioni per dare una spinta supplementare al pilota preferito con il “fan boost”. Che in ogni caso, giustamente, incide poco sul risultato finale dato che comunque l’energia disponibile nell’arco della gara è la stessa per tutti. Anziché scervellarsi con tante proposte assurde come quella del formato delle qualificazioni introdotto in Australia e abbandonato solo in Cina, lo Strategy Group della Formula 1 farebbe bene a guardarsi attorno. Anche perché le monoposto di massimo livello non sono forse più sinonimo di eccellenza assoluta nonostante un regolamento tecnico d’avanguardia. Del quale, peraltro, il grande pubblico non è a conoscenza anche perché forse troppo complicato da spiegare così come la giungla di norme e postille che regola lo svolgimento dei Gran Premi di Formula 1.

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