FCA/PSA: ce n’est qu’un début
Le obiezioni di quanti hanno protestato, dai sindacati a qualche politico, per il fatto di non essere stati informati del negoziato che ha portato all’accordo tra FCA e PSA non hanno alcun senso e a ben vedere denunciano soltanto la inadeguatezza – sempre che non ci sia una dose di furbizia che non manca mai nei comportamenti italici – di quanti pensano che sia prassi normale e soprattutto possa avere successo un’operazione del genere rendendola pubblica in fase di discussione tra le parti interessate.
Italiani e francesi hanno agito com’era loro diritto fare, raggiungendo un risultato che altrimenti avrebbe potuto incontrare chissà quanti ostacoli e forse anche finire in un nulla di fatto come è già accaduto altre volte e accadrà ancora. Ma un conto è rendere pubbliche le intenzioni quando sono ancora tali e un altro conto è far sapere che cosa si vuol fare una volta superato questo primo step oltre il quale il discorso non può essere tenuto nello stretto perimetro dei rapporti tra FCA e PSA, ma deve coinvolgere altri soggetti che a vario titolo sono coinvolti, dai lavoratori alle istituzioni che operano nei territori in cui i due gruppi sono presenti.
In questa prospettiva occorre partire dalla consapevolezza che l’accordo di cui si parla ha caratteristiche diverse dai tanti altri realizzati nel settore automotive a livello internazionale. A cominciare da quello tra Fiat e Chrysler che, come si ricorderà, è nato dall’urgenza e dal bisogno di due aziende in crisi di assicurarsi una sopravvivenza inseguendo una dimensione di sicurezza che nessuna delle due aveva e che non è stata raggiunta neppure dopo la nascita di FCA. Ma il punto che rende indispensabile conoscere la strada che il nuovo colosso dell’auto intende percorrere è un altro e riguarda non solo la vicinanza geografica tra Fiat e PSA, secondaria in un mondo globalizzato, quanto la produzione e i mercati dei due gruppi. Questo primo chiarimento è di fondamentale importanza perché serve a disegnare la nuova mappa del maxi gruppo con dentro la divisione delle produzioni, la sua definizione, gli obiettivi, i luoghi dove tutto questo si potrà fare. Si sbaglierebbe a pensare a una somma pura e semplice di quanto esiste già e certo non sono così ingenui e approssimativi a pensarlo i vertici societari di FCA e PSA. Ecco perché, al di là degli affrettati commenti, entusiastici o critici, si dovrà attendere il superamento di questo secondo stadio per un giudizio più ragionato sul quarto gruppo mondiale dell’automobile. Un passaggio che non dovrà avvenire in tempi lunghi e dovrà dissipare ogni dubbio se non si vuole andare incontro a sorprese e non si vogliono alimentare cattivi pensieri sulle reali finalità della grande fusione.
A mio avviso, invece, i sindacati andavano informati.
…………………..”NON SONO COSI’ APPROSSIMATIVI A PENSARLO I VERTICI DI FCA E PSA”………….
Temo che coloro che d’ora in poi dovranno pensare saranno soltanto i vertici di PSA.
FCA è una forza con un azionariato ormai fortemente frammentato tra quel che resta della famiglia più discussa e discutibile d’Italia.
Quel che a me pare certo è che l’Italia non ha più una industria automobilistica come avvenuto già da tempo in Inghilterra. Di chi è la colpa (o il merito visto che per molti l’auto è il male assoluto) ? Ai posteri l’ardua sentenza e per quanto mi riguarda temo si tratti di colpa grave.