“Fratelli coltelli”

L’incidente nella gara delle MotoGP di domenica scorsa tra le due Ducati riporta alla ribalta la questione annosa della gestione dei piloti in un Racing Team. Nella gara argentina Iannone ha pensato bene di tentare un sorpasso impossibile per sottrarre al proprio compagno Dovizioso il secondo gradino del podio. Risultato del maldestro tentativo è stato che entrambi i Ducatisti sono finiti per le terre a sole due curve dal traguardo, lasciando allibiti i componenti del proprio team e tutti i tifosi che si sono visti sfuggire un risultato di squadra assolutamente importante.

Ho letto un po’ di tutto in questi 2-3 giorni. Si sono ovviamente scatenati gli ultras del tifo scagliando insulti pesanti al colpevole della manovra. Parallelamente c’è stato anche chi ha esaltato lo stesso tentativo di sorpasso come indicatore oggettivo di grinta ed anche della maggiore spettacolarità delle gare di Moto rispetto alla tanto vituperata e noiosa F1. Poi sono saltati fuori i puristi che hanno stigmatizzato l’episodio dall’alto di un’etica irreprensibile da applicare anche al Motorsport, mettendo Iannone dietro la lavagna e Dovizioso sul piedestallo dell’Eroe grazie anche al gesto finale di portare comunque, a spinta, la sua moto al traguardo.

In mezzo a questo meandro di parole provo allora a dirvi la mia. Primo, sarebbe bene ricordare che l’incidente di domenica non rappresenta niente di nuovo sotto il sole. Questo episodio si inserisce in una lunga storia di sgarbi e scorrettezze più o meno violente che hanno punteggiato la Storia del Motorsport. Non è il primo caso e non sarà sicuramente nemmeno l’ultimo. Stiamo ancora tentando di far scendere il polverone dopo lo scorso finale di stagione proprio della MotoGP con il patatrac sportivo-umano-mediatico di Rossi-Marquez-Lorenzo e questo incidente, al confronto, è poco più di una secchiata di acqua fresca.

Diciamo che qui c’è l’aggravante del contatto tra compagni di squadra, ma anche questa non è una novità. Chi frequenta il Motorsport o lo conosce da appassionato di lunga data sa benissimo che il primo avversario per un pilota è proprio quello che divide il box con lui. Il più acerrimo avversario ed anche il più irritante. Già, perché l’eventualità che ti stia davanti il tuo compagno è un affronto di proporzioni bibliche. E non deve succedere. Mai.

Se escludiamo i casi in cui il cronometro piazza sistematicamente una manciata di secondi tra i due ed impone di conseguenza chiaro un rapporto “superiore-inferiore” che inibisce qualsiasi “rissa” sportiva, le relazioni tra compagni di squadra sono storicamente ottime unicamente quando si è lontano dalla stagione sportiva e possibilmente lontani anche dai circuiti. A cena, in compagnia di ospiti, sponsor o giornalisti si può benissimo convivere in tutta simpatia e armonia. Poi, quando arriva il momento di infilarsi la tuta, ecco che quel tizio che indossa i tuoi stessi colori inizia a infastidire non poco. Se poi, ad un certo punto del weekend, il suo cronometro si ferma prima del tuo, beh allora “apriti cielo!”

Anni fa un mio pilota, tra il serio e il faceto, guardando il box nella sua interezza mi disse “Pensa come sarebbe bello se qui di fianco, invece di quest’altra macchina, ci fosse un bel prato verde…”. Ecco, quello è lo stato d’animo dei piloti. Di tutti i piloti. Senza eccezioni. Non vogliono avere nessuno accanto. E chi dice il contrario, chi afferma che è felice anche se vince il suo compagno di squadra è semplicemente un falso.

Non credo sia il caso di menzionare i rapporti “amichevoli” tra Senna e Prost nella McLaren di venticinque anni fa, piuttosto che le più recenti dimostrazioni di fratellanza tra Hamilton e Rosberg. Diciamo pure che è normale che tra piloti non ci sia proprio quell’amicizia che tentiamo di idealizzare nella vita di tutti i giorni. Quindi l’episodio di domenica è solo l’ennesimo di una lunga serie che va a confermare questo assunto.

Con questo non voglio tuttavia sminuire ciò che è accaduto che rimane un fatto decisamente grave, soprattutto per la squadra Ducati. Sinceramente, se fossi stato il team manager della Ducati credo proprio che i due piloti avrebbero passato un dopo-gara piuttosto burrascoso… Perché è proprio qui che si innesta l’elemento che fa la differenza. Ovvero la forza organizzativa e gestionale del team. Sapendo bene che i piloti “sono fatti così”, bisogna preventivamente stabilire delle regole che riguardano il comportamento da tenere quando si abbassa la visiera. Né più né meno come le “job list” che si danno alle squadre di meccanici per l’esecuzione organizzata ed efficace dei lavori sui mezzi che corrono.

Semplicemente perché i piloti, sì anche i piloti, sono dipendenti dello stesso team. Pagati solitamente molto più di tutti gli altri componenti, anche perché sono i preziosi finalizzatori del lavoro preparato a casa e in circuito dagli altri componenti del team. Dotati di una rinomanza sicuramente maggiore, ma anche i piloti sono pur sempre dipendenti di un Racing Team, che spesso rappresenta un’azienda o un gruppo industriale. E come tali devono essere inseriti insieme a tutti gli altri nel processo per il raggiungimento degli obiettivi della squadra. Quando si dice “lavoriamo tutti insieme” si intende proprio questo. Che anche i piloti devono fare la loro parte. Andare ovviamente forte, possibilmente più forte degli altri. Massimizzare il rendimento loro e del mezzo che guidano. E non fare errori che possano mettere a repentaglio il raggiungimento dell’obiettivo prefissato. Perché dietro i piloti-finalizzatori c’è un’azienda che lavora e spende fior fiore di denari per essere nel Motorsport e provare a far brillare il proprio brand. E i piloti non si possono permettere di rovinare tutto.

Il recinto di regole e comportamenti in cui bisogna muoversi lo definisce ovviamente il management della squadra. Quelle stesse persone che domenica si sono guardate incredule di quanto era capitato sotto i loro occhi. Forse perché fino a quel momento avevano sottovalutato il fatto che cose del genere potessero capitare anche in Ducati. Forse perché non era frequente che le Ducati lottassero insieme per un posto privilegiato in classifica. O forse perché pensavano che quei due bravi ragazzi rimanessero tali in qualunque situazione, senza spegnere mai il cervello.

Poi è evidente che ci sono diverse filosofie di gestione del comportamento da far seguire ai piloti. Storicamente Frank Williams lasciava totalmente liberi i propri piloti di battagliare in pista. Scelta sportivamente rischiosa ma per Sir Frank contava essenzialmente che le sue vetture si facessero vedere davanti alle altre. In Mercedes hanno deciso di gestire similmente i rapporti spesso tesi tra Hamilton e Rosberg, ma con una postilla importante… “Ok, siete liberi di giocarvi le vostre carte in pista, ma occhio a non fare danni alle vetture e alla squadra altrimenti per voi sono guai”. Oppure si può anche decidere chi dei due piloti deve stare sistematicamente davanti all’altro in virtù di una conclamata supremazia sportiva o magari di esigenze di classifica. Sono scelte, diverse ma necessarie.

Io sono sicuro che dopo l’episodio di domenica anche in Ducati ci sono delle regole ferree di comportamento per i piloti e che certe cose non succederanno più. E ribadiranno questi principi chiaramente prima di ogni gara. Perché, prima o poi, arriva sempre un momento in cui uno dei due non sopporta la situazione in atto. E se quando la visiera è abbassata il cervello non fa in tempo a ripescare il file delle regole, allora capitano gli episodi dell’Argentina.

Comunque, e chiudo, Iannone non è un delinquente che ha gettato a terra il suo povero compagno. Né un ragazzo prepotente che punta ad eliminare il compagno con l’arma dell’arroganza. E’ stato semplicemente uno che ha smesso di ragionare, facendo un danno grave alla propria squadra. All’azienda che rappresenta. Al suo compagno Andrea Dovizioso. E anche a se stesso. Soprattutto quando, appena caduto, non è corso incontro al compagno per chiedere scusa. La lucidità è un dettaglio importante. Sempre. Perché si vince sempre per i dettagli.

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