I troppi paradossi della Formula 1
Durante il fine settimana del Gran Premio d’Italia si è parlato tanto di Monza e di un contratto in scadenza. Come per ogni argomento che attira l’attenzione generale,
al capezzale del glorioso circuito sono accorsi personaggi di svariata estrazione, compresi immancabili politici. Tutti si sono sentiti ripetere la stessa canzone: per salvare Monza servono soldi, e tanti, senza sconti a un passato glorioso e all’importanza di salvaguardare i cardini della storia della Formula 1. Questo non è che uno dei tanti paradossi sui quali si regge il cosiddetto “circus”. Se Monza rischia di chiudere, la colpa non è comunque tutta di Bernie Ecclestone, in ogni caso geniale organizzatore grazie al quale hanno fatto fortuna in tanti. Ecclestone gestisce i diritti commerciali della Formula 1 per conto di tutte le squadre e quindi non fa altro che il suo dovere al cospetto di clienti che esigono la loro fetta di torta, che vogliono sia più larga possibile. È dunque paradossale ascoltare personaggi della Formula 1 che sottolineano a gran voce l’importanza di mantenere in calendario i circuiti e i Gran Premi storici. Il modo migliore di salvare Monza è quello di rinunciare, da parte di tutti, a una fetta degli introiti, anche se in qualche altra località, come in Azerbaijan, sono pronti con casse di dollari a fare fronte alle richieste della compagnia della Formula 1.
Quello di andare ad accontentare nazioni in cerca di visibilità è un altro paradosso se si vuole il successo dei Gran Premi. Salvo qualche eccezione (Montreal su tutte) latitano gli spettatori sul posto, al punto che in Turchia alla fine si mimetizzavano le tribune per non mostrare che erano vuote. Questo senza contare che gli orari delle gare in Asia e Australia sono incompatibili con il raggiungimento di audience accettabili. Non a caso, la compagnia del paradosso si è inventata i Gran Premi in notturna, con grande spreco di energia e buona pace dell’immagine pulita che viene dalla nuova tecnologia ibrida introdotta a partire dal 2014. A proposito di televisioni, non è forse paradossale che un’attività sportiva che si regge per gran parte sulle sponsorizzazioni apra la porta, spesso in diretta esclusiva, alle pay-tv?
Il paradosso dei regolamenti è forse ancora più clamoroso. La nuova tecnologia attuale ha portato a un solo effetto tangibile per il pubblico: quello di smorzare il rumore delle monoposto a livello di aspirapolvere. Non ha senso promuoverla se poi nessuno sa come funziona e a cosa serve. Senza contare che, nonostante nuovi e pesanti investimenti, le monoposto odierne sono appena più veloci di volgari e infinitamente più economiche vetture di GP2. Anche il sogno di attirare i grandi marchi automobilistici è paradossale. Provate voi a spiegare in riunione del consiglio di amministrazione perché si continua a perdere, nonostante i 200 o 300 milioni l’anno investiti in Formula 1. L’esperienza, per ultimi, l’hanno fatta gli uomini di BMW e Toyota, e sappiamo come è andata a finire. Paradossale è anche la ridistribuzione dei premi, destinata ad ingrassare chi ne ha meno bisogno per soffocare le squadre più piccole.
Con la gola stretta da troppe regole, tecniche e sportive, la Formula 1 è ormai come un equilibrista che cammina sul filo cercando di bilanciare esigenze in manifesta contraddizione tra loro. E sono davvero bravi gli uomini che la governano e la promuovono nel riuscire a minimizzare gli effetti di tanti paradossi. Che, comunque, hanno come logica comune la ricerca dei massimi introiti. Perché anziché cercare di incassare sempre di più, non si pensa invece a spendere meno? Chi si occupa del futuro della Formula 1 dovrebbe anche ricordarsi di quello che era agli albori, nel 1950: essenzialmente uno sport. Fondato sull’uso del mezzo meccanico, ma pur sempre uno sport con tanti eroi da celebrare prima ancora delle macchine.
Tutto condivisibile, Roberto. Io aggiungerei ai tanti paradossi, le numerose regole e regolette che a mio parere stanno pian piano strangolando la F1 sotto il peso di disposizioni sempre più inutili. Penso alla famigerata pressione “consigliata” da Pirelli a Monza, per la quale Mercedes e Ferrari non parevano poi così conformi, chi sopra e chi sotto il valore di pressione, appunto consigliato e non obbligatorio, pare. Tutto questo in conseguenza degli episodi di Spa, pericolosi, ma con origini tutto sommato chiare, soprattutto per la Ferrari di Vettel. Sono questi, a mio avviso, elementi che allontanano lo spettatore medio e forse anche quello appassionato, perchè si capisce che non si combatte più su un piano puramente motoristico, ma tattico e legale. Le tattiche ci stanno, ma qui si è arrivati al paradosso di prevenire le possibili penalità, cercando di annullarle – vedasi i giri veloci di Hamilton- quasi come se si prevedessero già grattacapi al traguardo.
Di qualcosa di simile, ho scritto anche io nel mio post di questa mattina.
https://autoanalisi.wordpress.com/
Saluti
Alessio