Il Maestro

La voglia matta di mettersi ancora in discussione, di continuare a divertirsi creando capolavori di design (non solo nell’automotive), di mettersi anche al servizio dei giovani talenti per trasmettere un’eredità impareggiabile. Giorgetto Giugiaro è tutto questo. A 77 anni conserva lo spirito battagliero di un neofita. Ha lasciato tre mesi fa la sua Italdesign (fondata nel 1968 con Aldo Mantovani e poi ceduta al Gruppo Volkswagen) ma non ha chiuso la saracinesca: si è “messo in proprio” con il figlio Fabrizio che ha rilevato i locali in cui operava I.DE.A Institute a Moncalieri. Qui nascono oggi i nuovi oggetti firmati Giugiaro. E intanto Giorgetto è diventato pure Maestro, anzi Presidente e Maestro del Dipartimento di Transportation Design allo IAAD (l’Istituto torinese di Arte Applicata e Design).
Chi glie l’ha fatto fare, si domanda qualcuno? Lui sorride: «I ragazzi hanno bisogno di sognare. Insegnerò loro che è ancora possibile, se avranno basi solide e l’abilità necessaria per gestire il talento». Giorgetto Giugiaro ha inaugurato così, con entusiasmo, una parentesi inedita della sua vita professionale. Laura Milani, direttore dell’istituto, lo ha “catturato” e convinto, poi ha presentato il suo nuovo “docente” in un’affollata conferenza stampa al Museo dell’Automobile di Torino. Presente anche il sindaco Piero Fassino che ha parlato di «grande opportunità per arricchire le competenze di un territorio che in questo campo non ha paragoni al mondo perché è un hub impareggiabile dell’automotive».
Non c’è di meglio, per chi vuole diventare car designer, che trovarsi in cattedra un’icona universale come Giugiaro. «La possibilità di dedicarsi agli studenti – spiega lui – è stata sempre un lusso in un mestiere come il mio. Dedicare uno spazio all’università sarà anche un modo per continuare il dialogo con il mondo della cultura e con i suoi attori che si sono dimostrati attenti al futuro.
Giugiaro ha davvero ancora energie da spendere. Non cova rancori e non ha rimpianti. Anche se lo ha amareggiato la storia recente del colosso tedesco per cui ha lavorato a lungo: «Il dieselgate della Volkswagen? Bisogna sempre essere attenti a quello che succede, essere corretti fino in fondo. Non si può pensare di farla franca. Sono deluso perché un grande gruppo non può comportarsi in questo modo. È una questione morale».
Parla volentieri delle emozioni vissute: «La soddisfazione più grande è vedere un tuo progetto che per la prima volta diventa realtà. Mi è successo a 22 anni con l’Alfa Romeo 2.600 Sprint disegnata per Bertone. Ma l’elenco dei modelli cui sono più affezionato sarebbe infinito. L’auto più “difficile” da realizzare è stata forse la Panda, economica ed essenziale. Molto più facile concepire una sportiva edonistica che una citycar. Capita anche di dover fare progetti che vengono imposti, e qui potrei citare la Duna». Sorride, si dice «dispiaciuto per il sofferto rilancio dell’Alfa Romeo, un brand che gli è rimasto nel cuore: «Però non entro nel merito della tempistica, ci sono motivi finanziari».
Pronto a fare il maestro? «È un compito che svolgerò con passione, come tutto ciò che ho fatto finora. Confesso di essere sorpreso da tutte queste attenzioni. Proverò a spiegare che il talento è un mistero che ti capita di avere e non è facilmente controllabile. Però il futuro è sempre sorprendente, a patto di essere concreti. Non basta disegnare una bella macchina, deve essere un progetto ingegneristico sostenibile, anche sotto l’aspetto economico».

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